Anselm Grün, uno dei più noti e più letti maestri di spiritualità, sarà a Milano mercoledì 16 marzo nel contesto del programma “Itinerario Quaresimale nel Duomo di Milano: Ascoltare un maestro oggi” (ore 21,00). Pubblichiamo in traduzione italiana il testo della sua ultima conferenza, tenuta recentemente all’Accademia Cattolica di Monaco di Baviera.
Parlando delle fonti alle quali attingiamo per vivere, vorrei parlare anche delle fonti alle quali io stesso attingo, e spiegarne il perché. Di che cosa vivo? Naturalmente sono consapevole che vivo attingendo alle fonti della mia infanzia, alle esperienze che allora mi è stato possibile fare. Ma in quanto cristiano e monaco io vivo attingendo alla fonte dello Spirito santo. Si può certo affermare che questo suona abbastanza astratto. Ma che cosa significa vivere attingendo alla fonte dello Spirito santo? Per me è importante che in me ci sia qualcosa più grande di me stesso, e che non si tratti di porre me stesso al centro, bensì di essere permeabile a questa fonte dello Spirito santo. Naturalmente questo non è una garanzia che io sia permeabile solo allo Spirito santo. Ma io so che, attingendo a questa fonte dello Spirito santo nel lavoro, sia quando mi occupo di amministrazione sia quando scrivo o quando tengo una conferenza, non finirò sotto stress, so che non sarà per me affaticante. La fonte a cui io attingo, infatti, è inesauribile. E per me questo è sempre un segno: quando sono esaurito, so esattamente che allora ho attinto ad una fonte torbida.
Quali sono le fonti torbide? Può essere l’ambizione. Che cosa è affaticante? La maggior parte dei lavori che noi pratichiamo non sono assolutamente affaticanti. Affaticanti lo diventano quando si è sotto pressione. E ci si può mettere sotto pressione nelle più diverse situazioni. Una donna assai carina, già in pensione, che vive di rendita, che propriamente non è tenuta ad alcuna prestazione, mi dice: quando alle 11 e mezza guardo l’orologio, penso: anche oggi, di nuovo non hai fatto niente. Lei, dunque, si mette così sotto pressione. Oppure, una madre di due bambini mi raccontava di come, seduta tutta rilassata durante la messa, durante la celebrazione dell’eucaristia , se vede suo figlio di 9 anni, che è ministrante, dondolarsi di continuo in qua e in là, lei si mette sotto pressione, pensa: deve pur smetterla, deve finalmente stare attento. Stare a messa non è affaticante, ma se mi metto continuamente sotto pressione perché mio figlio deve pur comportarsi ragionevolmente, allora, in questa situazione, anche un’ora o tre quarti d’ora di messa possono diventare affaticanti.
A quale fonte attingo? Vorrei solo dire: essere esauriti è qualcosa di diverso dall’essere stanchi. Se ho lavorato bene e sono veramente stanco, ho però la sensazione che ne è valsa la pena, che ho lavorato per Dio, per gli uomini… ne è valsa la pena. Oppure, se siete saliti su una montagna, sulla cima, e ne ridiscendete stanchi, voi vi sentite bene. Provate stanchezza, ma vi sentite bene. Essere esauriti è qualcosa di diverso. Ci si sente spossati, esausti, ma non si riesce a dormire. E questo è sempre un segnale che voi attingete a una fonte torbida.
Oppure, quali altre fonti sono delle fonti torbide? Il perfezionismo, o anche certi modelli di vita. Ho accompagnato una donna che ricopriva un ruolo di grande responsabilità e si sentiva esaurita. Aveva fatto una cura, che non le era servita a molto; poi una seconda cura, ma lei era ancora esaurita. Allora venne da noi, e io mi sono offerto di accompagnarla. Nel dialogo emerse con chiarezza che una cura sola non poteva esserle di aiuto. Il suo modello di vita, ecco, era una fonte torbida. Questa donna era cresciuta in una fattoria. Suo padre lavorava alle dipendenze del proprio fratello, dunque del di lei zio. Lo zio non aveva figli; lei era la maggiore di quattro figli. Tra padre e zio si litigava spesso, e lei, in quanto figlia maggiore, era stata sempre sotto pressione: il suo desiderio era che, in certo qual modo, le cose si appacificassero. Lei, dunque, aveva avuto due modelli di vita: sperare che non si litigasse e cercare di fare ciò che da lei ci si aspettava.
Vi potete immaginare: se io vivo secondo questo modello di vita, ogni attività è affaticante. In questa situazione ogni conflitto mi toglierà completamente il terreno di sotto ai piedi. Ci sono persone che con i conflitti crescono: esse si divertono a risolvere conflitti, in questo esse raggiungono la loro forma migliore. Ma se io vivo con questo modello di vita, ogni conflitto mi sottrarrà tutta l’energia. Oppure, se penso, se cerco sempre soltanto di rispondere alle aspettative, mi sentirò esausto, diventerò amaro e mi sentirò stressato. Voi potete certo avere delle aspettative, le persone possono nutrire delle aspettative, ma è affare mio il rispondervi o meno. Naturalmente è chiaro che nessuno di noi attinge sempre a fonti limpide. Io attingo talvolta anche a fonti torbide, ma in tal caso è importante che io divenga consapevole: questa è una fonte torbida, la lascio, e poi provo a chiedermi: dove sono le fonti limpide? La fonte limpida – ho già detto: la fonte dello Spirito santo. Si tratta semplicemente di essere permeabile. Lo Spirito, è lui che ispira. Si potrebbe dire: lo Spirito, questa fonte, la fonte limpida. Se in montagna trovate una fonte limpida, essa rinfresca, ravviva, feconda e purifica. E questi sono per me quattro importanti effetti della fonte limpida dello Spirito santo. Quando la vita scorre, quando è feconda, è sempre un segno che ciò proviene dalla fonte interiore. Io penso che è del tutto importante che la vita scorra, che arrivi a scorrere. E scorrere non è cosa affaticante.
Conosco persone le quali, per il grande autolimitarsi, nel timore che da loro si potrebbe esigere troppo, non scoprono affatto le loro potenzialità. Esse non intraprendono assolutamente nulla, non sgorga nulla, da loro, perché hanno paura che potrebbero dare un tantino troppo. Ciò che è nelle mie possibilità, quanta forza si nasconde in me, io lo posso scoprire soltanto se, almeno per una volta, sono andato oltre. Ma se io, mettendomi sempre al riparo, non lascio sgorgare da me assolutamente nulla, neppure mi accorgerò di quanta forza si cela in me. Una fonte deve scorrere. Se essa resta chiusa, solo per me, allora non serve a niente. L’acqua sarà stagnante e non avrà gusto. Essa rimane fresca soltanto se scorre. Io penso che questo sia molto importante. Lo scorrere ha a che fare con il donarsi. Sì, donarsi, dedicarsi al lavoro, ecco lo scorrere, e allora si ottengono risultati e ne siamo riconoscenti. Non ci misuriamo in base alle prestazioni, ma sentiamo semplicemente di essere grati per il fatto di scorrere ed essere fecondi.
In secondo luogo, l’acqua rinfresca. Abbiamo continuamente bisogno della fonte. Per raggiungere la fonte alcune persone si aiutano con la preghiera, il silenzio, nel quale uno avverte: quando prego, giungo al centro, in questo spazio interiore della fonte. Per molti è la natura una fonte molto importante, attraverso la quale entrano in contatto con la loro fonte interiore – oppure lo sport, o la musica, o la lettura. Sono, queste, fonti esterne, attraverso cui entriamo in contatto con la fonte interiore. I mistici affermano che in ognuno di noi c’è uno spazio di silenzio dove nessuno ha accesso, uno spazio sacro. E questo è anche lo spazio dove scorre questa fonte interiore.
E l’altro significato della fonte: essa purifica. Voi sapete che una fonte limpida purifica l’ambiente circostante. Per me questo è un aspetto molto importante. Io lo vivo nella mia esperienza personale: sono cellerario principale [del monastero], datore di lavoro di 280 dipendenti e di 50 confratelli che collaborano nell’azienda. E qui entrano in gioco naturalmente anche emozioni. C’è chi si lamenta di altri, e se non sto attento, le mie emozioni fanno subito tutt’uno con l’emozione dell’altro, e io dico: impossibile che sia così. E già contribuisco all’inquinamento emozionale dell’ambiente. In questi casi è per me assai importante, nella preghiera, nella meditazione, considerare sempre bene i sentimenti, i conflitti e interiorizzare la preghiera a Gesù affinché le emozioni vengano purificate. Io so che se intorbidisco il clima, non posso poi essere di guida, posso certo continuare a lavorare tanto, ma non ottengo nulla proprio perché guasto tutta l’atmosfera. Entrando in taluni reparti di aziende, si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un groviglio di emozioni attraverso il quale non si riesce proprio a vedere. I sentimenti, le emozioni sono come una nebbia che annebbia tutti perché non si prende del tempo per la chiarificazione interna e per la purificazione delle emozioni.
Ciò non vale solo per il nostro ambiente più ristretto. Anche una società può sviluppare un tale fluidum e, senza accorgercene, anche noi ne veniamo infettati. Arrivare alla fonte significa pensare di continuo in modo chiaro, diventare limpidi, non seguire le dicerie degli altri, ma scoprire una chiarezza interiore. Bene, queste sono le fonti dello Spirito santo. Ma questa fonte dello Spirito santo si esprime anche più concretamente. San Paolo parla dei frutti dello Spirito. E si potrebbero intendere come fonti proprio questi frutti dello Spirito. Egli chiama i primi tre frutti: amore, gioia, pace. Se uno lavora con gioia, allora semplicemente scorre, fluisce. La gioia dilata il cuore, e se voi provate piacere nel fare qualcosa, potete allora lavorare molto senza sentirvi esauriti.
E’ importante chiedersi: a quale fonte attingo? Lo Spirito santo ci porta alla fonte dell’ amore; non un indicatore morale, del tipo: tu devi amare – non si tratta di un ‘tu devi’ -, ma è una esperienza spirituale. Ognuno di noi desidera amare ed essere amato, ma il fine di questo anelito è il fatto di venire in contatto con l’amore stesso, il fatto che in noi ci sia una fonte di amore. Se continuo a viverlo come pretesa della presenza di altri, allora diventa molto affaticante. Se, invece, sono in pace con me stesso, questo è anche una fonte da cui posso vivere.
Le altre fonti sono: gentilezza, bontà, mitezza. Se mi condanno in continuazione - io dovrei essere così e così -, allora molte cose mi diventano pesanti. Allora continuo a vedere soltanto i miei errori e a giudicarmi. Questo, del resto, è un desiderio che anch’io ho. Io ho compiuto i sessant’anni. Lego l’essere anziano con la mitezza. Mitezza (Milde) deriva da ‘macinare’ (mahlen). ‘Mollis’ – come si dice in latino - è uno che è stato macinato, che attraverso la macina del quotidiano e dei suoi problemi personali è stato reso abbastanza morbido: costui tratta se stesso con mitezza. Oppure, penso ai colori autunnali tanto tenui, o alla luce autunnale: guardare a se stessi in una luce così tenue, io penso, è meno stressante che analizzare tutto e dire: tu devi essere diverso.E un’altra cosa è proprio l’atteggiamento dell’autodominio, dell’ascesi. Anche questa è una fonte importante. Io devo pure poter dire qualche volta di no; solo allora posso gustare qualcosa. Se devo soddisfare sempre tutti i bisogni, non posso gustare nulla. All’inizio ho detto che io vivo anche dalla fonte dell’infanzia. Per me è importante: se accompagno delle persone, presto ascolto naturalmente alle ferite, ad esse mi interesso, le prendo sul serio, cerco di entrare in relazione con le persone e di vedere come possono rapportarsi alle loro ferite, come riconciliarsi con la storia delle loro ferite. Ma altrettanto importante continua ad essere per me l’arrivare alle fonti. Allora chiedo sempre: come sei, ciò nonostante, sopravvissuto? In che cosa hai potuto dimenticarti? In quali situazioni è sgorgata in te dell’energia? Oppure, per me c’è un’immagine meravigliosa nella storia di Agar: Abramo che scaccia nel deserto sua moglie, la serva Agar con il figlio, perché non riesce a spuntarla contro Sara. Agar viene abbandonata, priva di orientamento. Il deserto: è la tipica situazione dell’infanzia, che spesso ascolto raccontare durante i colloqui. Ma ecco che un angelo del Signore discende dal cielo e ode il grido del bambino, e le indica il pozzo della vita. Da bambino io volevo diventare muratore. Ho sempre riparato qualcosa, ho costruito una vasca per pesci, ecc. Se fossi diventato muratore, naturalmente non avrei potuto svolgere molti compiti e sviluppare delle capacità. Ciononostante, questa per me è rimasta una immagine importante: costruire con libri, con parole, una casa: una casa in cui le persone si sentano a casa, si sentano comprese, dove non si sentano giudicate o oppresse dal ‘tu devi fare questo o quello’, ma dove esse possano una buona volta abitare, sentirsi a casa. Le parole sono come una casa in cui si può abitare e spesso noi abitiamo in case negative. Nelly Sachs parla di abitazioni della morte.
Questi libri, che sono come una casa in cui posso entrare per sentirmi a casa mia, forse in un contesto che di continuo mi ferisce, o che mi è estraneo, freddo; rifugiarmi in parole che sono come una casa: tutto questo io sento come avvolgente. E’ un pensiero che ho trovato in Herman Hesse, e che vorrei leggervi. Solo in questi ultimi giorni mi è capitato fra le mani il testo. Egli scrive: “Tutti i libri di questo mondo non ti portano alcuna felicità, ma essi ti fanno segretamente rientrare in te stesso. Là c’è tutto ciò di cui tu hai bisogno, sole, stelle e luna. Infatti, la luce che tu cerchi abita dentro di te”.Questo è per me il compito dello scrivere: scrivere in modo che le persone avvertano: questo c’è già tutto in me. Per me la massima gratitudine è sempre quando qualcuno mi dice: Lei scrive esattamente ciò che io stesso penso; solo che io non l’ho mai formulato. E allora io sento che, sì, proprio di questo si tratta, esprimere in parole dove io possa abitare, dove io percepisca che lì dentro abitano anche i miei sentimenti, lì io sono a casa, lì non vengo giudicato. Questa è diventata per me una immagine importante. Perciò, per me lo scrivere non è mai stress né fatica. Qui è già naturale la ricerca di costruire in questo modo una casa: posso abitarci, in questa parola, o essa è già logora? E’ una parola antiquata, oppure si porta dietro un marchio morale, o di giudizio, di valutazione? In tal caso io cerco di procedere con cautela.
Ancora una parola di Hermann Hesse: “I libri hanno un valore solo se essi conducono alla vita e se sono al servizio di chi vive, se gli sono utili. Ogni ora di lettura è sprecata se da essa non si sprigiona per il lettore una scintilla di forza, un presagio di ringiovanimento, un alito di nuova freschezza “. Io non sono Hermann Hesse, ma meglio non so esprimere ciò che propriamente vorrei dire con i miei libri.
Bene! Queste sono le fonti nella infanzia. Oggi in psicologia si lavora non orientati soltanto ai problemi, elaborando le ferite, ma orientati alle risorse, per riportare le persone alle fonti. C’è in psicologia un orientamento particolare, la ‘salutogenesi’, sviluppato da un noto terapeuta ebraico che ha curato vittime dell’Olocausto ed ha constatato: le vittime avevano la stessa dolorosa esperienza, ma alcune ne sono state distrutte, altre ne sono uscite sane e forti. E lui si interroga: Da che cosa ciò dipende? Egli ritiene che occorrano delle risorse ben precise, ad esempio il sentimento di coerenza, sentire che tutto si tiene, che vale la pena lavorare, che vale la pena risolvere i conflitti, che la vita ha un senso. Tutte queste sono così delle fonti importanti. Se io attingo a queste fonti, posso affrontare anche molte esperienze negative.
Naturalmente non si può arrivare all’estremo opposto, cioè di non affrontare le ferite. Devo fare entrambi le cose: tenere in considerazione le ferite, ma altrettanto importanti sono le fonti positive. E ognuno di noi possiede tali fonti positive. Prestando loro attenzione, veniamo in contatto con la nostra personale forza e con il Sacro e il Tutto che si cela in noi stessi.
© zur debatte. Themen der katholischen Akademie Bayern (München 2005)
Traduzione dal tedesco
di GIANNI FRANCESCONI
© 2005 by Teologi@Internet
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)