15/06/2023
537. FIORIRE E APPASSIRE TUTTI INSIEME Assaggi di ecoteologia – 1 di Elizabeth A. Johnson
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L’odierna necessità di una «conversione ecologica», non ultimo riaffermata dall’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, sembra in effetti incontrare numerose resistenze e rallentamenti, per l’indifferenza e l’incuria tanto dei singoli quanto, e soprattutto, delle istituzioni. Entro tale orizzonte, le diverse tradizioni religiose hanno un effettivo “potenziale ecologico”, che tuttavia sembra essere insufficiente o ancora troppo assopito per poter offrire un deciso contributo e agire sulla coscienza pubblica. Elizabeth A. Johnson, in queste brevi battute, vuole rimettere in luce questo potenziale, non richiamandosi semplicemente a una troppo “scontata” prospettiva di un Dio creatore, bensì offrendo un’interpretazione comunionale di tutto il creato, umano e non-umano, un’ecoteologia che alla luce del testo biblico lasci intravedere il legame, il valore e il senso di ogni singola creatura, all’interno dell’unico abbraccio d’amore di Dio.

 

 

Immaginate la Terra come ci appare nelle foto prese dallo spazio; eccola lì che gira, un bellissimo globo blu, avvolta da un turbinio di nuvole bianche, lucente sullo sfondo nero dello spazio infinito. È qui che viviamo noi esseri umani, assieme a milioni di altre specie sopra e sotto il suolo, in acque dolci e salate e nell’aria che sovrasta le nostre teste. In realtà, questo è l’unico posto in cui c’è vita, per quanto ad oggi è dato sapere.

Da qui possiamo guardarci intorno e scorgere altri luoghi, pianeti e stelle, proprio come facevano i nostri antenati e ora, grazie agli incredibili telescopi di nuova generazione, riusciamo a osservare miliardi di antiche galassie. Forse un giorno le creature terrestri vivranno altrove ma, per il momento, la Terra rimane il nostro pianeta e la nostra casa.

La realtà, terribile e innegabile, che dobbiamo affrontare oggi è che la Terra è in pericolo. A causa delle azioni e anche delle inerzie dell’uomo, il pianeta si sta surriscaldando; gravi siccità, incendi, alluvioni e tempeste seminano distruzione; centinaia se non migliaia di specie si stanno rapidamente estinguendo. Il danno che ne consegue sconvolge le vite di un numero sempre maggiore di persone, tra cui quelle che diventano dei profughi climatici. Gli sforzi per prendersi cura della Terra si stanno moltiplicando, come si osserva un po’ ovunque, dagli accordi internazionali alle scelte di vita personali. Questi sforzi, tuttavia, devono confrontarsi con la forte opposizione messa in campo dalle potenze politiche ed economiche. E non dobbiamo sottovalutare il ruolo giocato dall’indifferenza.

In questo scenario pericoloso e complesso, che contributo possono offrire le religioni? Dato che le più importanti tradizioni religiose sono messaggere di saggezza sul significato ultimo e tracciano una mappa da seguire per vivere una vita buona, la maggior parte delle religioni mondiali possiede delle risorse in grado di alimentare l’attenzione ecologica. Papa Francesco punta il dito su questa problematica con l’enciclica Laudato si’ del 2015:

Voglio mostrare fin dall’inizio come le convinzioni di fede offrano ai cristiani, e in parte anche ad altri credenti, motivazioni alte per prendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili. […] È un bene per l’umanità e per il mondo che noi credenti riconosciamo meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle nostre convinzioni (n. 64).

In altre parole, le convinzioni hanno delle conseguenze: dovranno pur valere qualcosa, in concreto.

Il cristianesimo, assieme ad altre religioni monoteiste, ha a cuore la fede in un Dio vivente che ha creato e che ama il mondo intero. Questa convinzione, che possiede un potenziale rivoluzionario per motivare la cura della Terra, fino a poco tempo fa, tuttavia, non ha indotto molti cristiani a farlo in maniera consistente.

Una curiosa storiella riguardo al noto naturalista John Muir (1838-1914) evidenzia il problema. Un giorno, Muir stava facendo un’escursione nel Parco di Yosemite quando incappò nella carcassa di un orso; lo studioso si fermò a riflettere sulla dignità di quella creatura. Lì giaceva un animale a sangue caldo e dal cuore pulsante come il nostro, a cui piaceva sentire il calore del sole sulla pelliccia e per il quale poteva dirsi una bella giornata l’aver trovato un cespuglio pieno di bacche. Nel suo diario Muir scrisse, in seguito, delle aspre parole di critica verso quelle credenze religiose popolari che non lasciavano spazio nella loro fede per queste nobili creature. Credono di essere gli unici ad avere un’anima, lamentava, gli unici ai quali è destinato il paradiso. Invece, scriveva, «la carità divina è abbastanza grande per includere gli orsi».

Lo è? Gli orsi bruni americani, i panda, gli orsi polari, i grizzly, sono amati da Dio a tal punto da venir toccati, nella loro sofferenza e morte, dal suo divino potere di salvezza? Se è così, dove ci colloca tutto ciò, che posto abbiamo noi esseri umani nello schema divino delle cose? Schierandomi dalla parte degli orsi, vorrei sostenere che la nostra specie deve ripensare la propria relazione con la natura. Dobbiamo smettere di pensarci come “i signori dell’universo” e capire che siamo imparentati con gli orsi e con tutti gli altri esseri viventi nell’amata comunità del creato.

Indagherò la questione in tre passaggi successivi: primo, la realtà della comunità del creato; secondo, un potente ostacolo al comprendere che anche noi ne facciamo parte; terzo, i rimedi per rimuovere l’ostacolo[1]. Offro questi assaggi di ecoteologia non aspettandomi che tutti siano per forza d’accordo, ma nella speranza che queste idee ci stimolino a ragionare sull’importanza sacra del mondo naturale, fino a provocare delle ricadute pratiche e critiche.

Tiene vive tutte le cose, un istante dopo l'altro

Con l’evoluzione, la vita sulla Terra ha preso forma in milioni di specie dalla straordinaria varietà – compresa la specie umana –, tutte in interazione con il suolo, l’acqua e l’aria di diversi ecosistemi. Come afferma la scrittrice naturalista Annie Dillard, «il Creatore ama mischiare».

Il processo evolutivo può spiegare come le specie si siano formate nel corso del tempo. Tuttavia, il fatto che esse esistano non si spiega da solo. Sin dall’antichità gli esseri umani, posti di fronte alla fragilità, alla ferocia e alla meraviglia della vita, hanno avuto la sensazione che ci sia di più di quel che si vede con gli occhi. L’esistenza del mondo, per la fede biblica, è dovuta al dono di un Creatore infinitamente generoso. Questo mistero incomprensibile – che chiamiamo Dio – è carica vitale pura e assoluta, una sorgente traboccante di essenza senza un’origine, un limite o una fine. Il Dio vivente, nel creare il mondo, dona gratuitamente una parte di quella carica vitale a quanti divini non sono. E tutti la ricevono con attitudine creaturale.

In genere, il riferimento a Dio che crea il mondo riporta le nostre menti all’origine delle cose, come in Gen 1,1: «In principio». La gente spesso suppone, senza mai dirlo espressamente, che da questa scintilla iniziale tutto prosegua da sé. È quasi come se il riposo del Creatore nel settimo giorno si prolungasse in un pensionamento senza fine. Quel che sfugge, in questa visione di corto respiro, è la verità per cui la creazione è continua. Il Dio vivente crea continuamente.

Senza questa generosità, non vi sarebbe alcun mondo. Tutto collasserebbe in un “non-essere” inimmaginabile. Per riprendere una metafora suggestiva del filosofo domenicano britannico Herbert McCabe, il Creatore «fa tutte le cose e le tiene vive un momento dopo l’altro, non come uno scultore che crea una statua e la lascia lì, ma come una cantante che mantiene sempre viva la propria canzone». La creazione come una esibizione continua, di persona, dal vivo!

Cercando di comprendere questo concetto, Tommaso d’Aquino, teologo vissuto nel XIII secolo, ha scritto parole che risultano ancor oggi attuali:

Dio è in tutte le cose; non, infatti, come parte della loro essenza […], ma come un agente è presente a ciò su cui opera […]. Ora, poiché l’essenza di Dio è di esistere, l’essere creato deve essere l’effetto proprio dell’azione di Dio, come riscaldare è l’effetto proprio del fuoco. Ebbene, Dio causa questo effetto nelle cose non solo quando cominciano ad essere, ma finché si conservano nell’essere, così come il sole fa luce nell’aria finché l’aria rimane illuminata. Quindi finché una cosa esiste, Dio deve essere presente ad essa […] ed esserlo intimamente.

Come una fiamma dà fuoco a ciò che la circonda, allo stesso modo il Creatore suscita continuamente la vita in tutte le cose. Come il sole rende l’aria luminosa, così il Creatore risplende sul mondo e porta tutte le sue creature nell’esistenza. È questo il senso fondamentale della creazione. Una relazione continua e vivificante tra il Creatore e la creatura segna l’identità più profonda del mondo.

Un motivo soltanto, per tutti: l'amore

Nella visione biblica il motivo per cui tutto ciò accade è dovuto a una ragione soltanto: l’amore. Il libro della Sapienza lo dice con queste parole: «Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata» (Sap 11,24s.). Papa Francesco si rifà a questo concetto in Laudato si’ quando scrive che la creazione è un dono «dove ogni creatura ha un valore e un significato» (n. 76). «Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto dell’amore [di Dio], e in quei pochi secondi di esistenza, egli lo circonda con il suo affetto» (n. 77). I commentatori fanno notare che qui Francesco potrebbe aver pensato addirittura agli efemerotteri: dopo la schiusa questi insettini vivono solo per alcune ore, durante le quali devono trovare un compagno e depositare le uova, e poi muoiono. Veramente effimeri. Ma circondati dall’affetto; come siamo tutti.

cédric sorel, Public domain, via Wikimedia CommonsLa presenza continua e creatrice del Dio vivente assume un’altra sfumatura quando comprendiamo che il mondo non è finito. Per 13,8 miliardi di anni l’universo è andato realizzandosi con le galassie e le stelle che si formavano, si fondevano, esplodevano, davano forma a qualcosa di nuovo. Sul nostro stesso pianeta l’evoluzione sèguita a dar vita a «infinite forme estremamente belle», per usare l’efficace espressione di Darwin. La natura è disseminata di promesse, gravida di sorprese. Ma il costo è alto. Quella storia della vita è una storia di dolore e sofferenza. La morte è profondamente radicata nel creativo evolversi della vita, che sorge nel mezzo del perire perpetuo.

Se ci domandiamo dove sta Dio nel mezzo di questo dolore, il fondamento della fede biblica risponde: “Qui, in solidarietà con le creature colpite da afflizione e morte”. Lo spirito del Creatore è presente nella sofferenza con l’intento di guarire, redimere e liberare. L’apostolo Paolo ha scritto che, mentre tutto il creato geme per le doglie del parto, un giorno «la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Nel creare il mondo Dio è presente qui e ora per ciascuna creatura, chiamando ognuno alla vita con amore e con la promessa di futuro. Quando arrivano le preoccupazioni, Dio non abbandona la creatura amata. Con queste chiare parole si esprime il teologo australiano Denis Edwards in un saggio del 2006:

Lo Spirito creatore è con le creature nella loro finitudine, morte e incompletezza, avendo per ciascuna di esse un amore redentore, e in qualche modo le sta già conducendo in un imprevedibile futuro escatologico […]. Lo Spirito è con ogni creatura adesso, con ogni predatore selvaggio e la sua preda e con ogni creatura morente, come una levatrice assiste al parto prodigioso in cui tutte le cose saranno rese nuove.

Tutto va in mille pezzi, ma c’è speranza per il futuro. «Io sarò con te» è il nome proprio del Creatore del Cielo e della Terra.

La nostra eredità comune

Perciò, dalla prospettiva dello sguardo divino, gli esseri umani non sono a sé stanti come fossero alba e tramonto del mondo. Piuttosto, assieme a tutte le altre creature, essi formano un’unica e amata comunità del creato. Anche noi riceviamo la vita come un dono dall’amore sovrabbondante di Dio ed esistiamo facendo affidamento su quel dono, nella speranza che quello stesso Dio sarà fedele anche nella nostra morte. Sotto questa luce, proprio in quanto creature, con le altre specie noi umani abbiamo più cose in comune di ciò che ci separa. In quanto creature, siamo imparentati con l’orso, la piovra, il corvo e le cimici. Per dirla con le belle parole di Laudato si’, «non siamo separati dalle altre creature, ma formiamo con gli altri esseri dell’universo una stupenda comunione universale» (n. 220).

Per il nostro tempo è una benedizione che gli studi scientifici giungano a una simile conclusione con i loro stessi metodi. Noi umani siamo parte intrinseca della catena evolutiva della vita su questo pianeta, che a sua volta è parte del sistema solare, il quale si è formato dai detriti dell’esplosione di antiche stelle della Via Lattea, formatasi essa stessa qualche tempo dopo la colossale esplosione del Big Bang. Lo scienziato britannico Arthur Peacocke cattura il nostro essere in relazione con un esempio efficace. Perché il nostro sangue è rosso, come quello degli altri mammiferi? Per il ferro. «Ogni atomo di ferro del nostro sangue non sarebbe lì se non fosse scaturito dall’esplosione di una supergigante rossa miliardi di anni fa, per poi condensarsi e formare il ferro della crosta terrestre dalla quale noi siamo emersi».

Il panorama della nostra immaginazione si espande quando comprendiamo che il legame umano con la natura è tanto profondo da non poter più definire la nostra identità senza includere la grande portata della storia cosmica e la nostra eredità genetica comune agli altri organismi nella storia dell’evoluzione della vita. Non c’è che una sola comunità di viventi sulla Terra. Detta con parole scientifiche, c’è un’unica biosfera. In termini teologici, c’è un’unica comunità del creato. Tutto è connesso a tutto il resto, e tutti fioriamo e appassiamo insieme.


[1] Il secondoil terzo di questi passaggi costituiranno, nell’ordine, i due prossimi post del nostro blog Teologi@Internet.



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