Ha scritto Albert Einstein nel suo testamento scientifico-filosofico, Come io vedo il mondo (1955): «Quale gioia profonda a cospetto dell’edificio del mondo e quale ardente desiderio di conoscere – sia pure limitato a qualche debole raggio dello splendore rivelato dall’ordine morale dell’universo – dovevano possedere Kepler e Newton per aver potuto, in un solitario lavoro di lunghi anni svelare il meccanismo celeste! […] Indubbiamente, questo sentimento è paragonabile a quello che animò gli spiriti religiosi di ogni tempo».
È in arrivo a Brescia (29 gennaio) il direttore della Specola Vaticana, realtà culturale e scientifica internazionale, che si situa nella linea della esplorazione dell’«edificio del mondo», esaltata nel testo suggestivo di Einstein.
La Specola Vaticana esprime l’interesse della Santa Sede, che risale alla fine del XVI secolo, e precisamente al 1582 con la riforma del calendario giuliano voluta da Gregorio XIII, per l’astronomia. In tempi più vicini a noi, papa Leone XIII nel 1891 volle fondare una istituzione che di scienza si occupasse a tempo pieno e lo facesse in modo professionale: nacque così la Specola Vaticana, unica istituzione dedicata alla ricerca scientifica della Santa Sede. Attualmente ha due sedi: Castel Gandolfo sui Colli Albani, e, dagli Anni Ottanta, si apriva la sede in Arizona (USA), sul monte Graham, con un nuovo modernissimo telescopio in collaborazione con l’Università dell’Arizona, a Tucson. Da queste due sedi la ricerca investe tutti gli ambiti della moderna ricerca astrofisica.
Gli astronomi della Specola, di provenienza internazionale e nella maggioranza gesuiti, svolgono la loro ricerca in collaborazione con colleghi di tutto il mondo legati alle più prestigiose istituzioni di astrofisica del pianeta, senza trascurare il più generale dialogo tra scienza, fede, e filosofia. Nel Manifesto pubblico della istituzione vaticana si afferma: «La Specola dà il proprio silenzioso ma sostanziale contributo alla ricerca scientifica nel duplice lavoro di spiegare, come diceva papa Giovanni XXIII, la scienza alla chiesa e la chiesa agli uomini di scienza». E’ un’attività che dà lustro e prestigio alla chiesa soprattutto nel mondo laico.
Direttore della Specola, dal 2006, è il p. gesuita José Funes, nato a Córdoba (Argentina) nel 1963, formatosi in astronomia nell’Università degli studi di Padova. Il p. Funes viene a Brescia su invito della Accademia Cattolica e della Cooperativa cattolica democratica di cultura (CCDC), anche per presentare il libro, a collaborazione internazionale, edito dalla Editrice Queriniana, con il titolo Esplorare l’universo, ultima delle periferie. Le sfide della scienza alla teologia (2015), organizzato dalla Specola Vaticana non solo come testo di lettura, ma anche come essenziale trattato sul tema, da introdurre nei corsi sul rapporto tra Religione e Scienza, nelle Facoltà di teologia e negli Istituti di scienze religiose.
Come si colloca il libro a più voci nel discusso e travagliato rapporto tra scienza e fede, o tra scienza e religione? Nell’epistemologia contemporanea, al riguardo si danno quattro modelli interpretativi, secondo le analisi dello storico statunitense Ian Barbour.
Il primo modello interpretativo è quello del conflitto tra scienza e fede. Basta citare il nome di Galileo. Nel suo caso il conflitto era determinato dall’autorità religiosa vaticana. Nel libro il caso è storicamente bene ricostruito con la miglior bibliografia disponibile. Attualmente esiste ancora un conflitto tra neo-darwiniani di indirizzo positivista o scientista, che non riconoscono altri saperi, validi e oggettivi, oltre al discorso scientifico. Citiamo solo il recente saggio di Telmo Pievani, conflittivo già nel titolo, Creazione senza Dio (2006).
Un secondo modello va sotto il nome di indipendenza dei due saperi: scienza e teologia riguardano ambiti diversi: la scienza dice il come del mondo; la religione/teologia si interroga sul perché, sui valori e sul senso dell’esserci nel mondo (il famoso dasein heideggeriano). Scienza e teologia sarebbero due «magisteri non sovrapposti (non over-lapping). La distinzione va mantenuta, ma il come e il perché vanno tenuti insieme, e così si può procedere oltre questa posizione, in genere rappresentata dalla teologia protestane (Barth, il teologo statunitense Langdon Gilkey).
Un terzo modello è il modello del dialogo, che può arrivare alla integrazione (come quarto modello). È questa la linea di studiosi, come il britannico, anglicano, John Polkinghorne (che ha dialogato con il noto filosofo della scienza Giulio Giorello); e il francese, cattolico, Jacques Arnould del Centro Studi spaziali di Parigi, autore del libro La teologia dopo Darwin (1998). La posizione non è estranea alla sensibilità culturale e spirituale di grandi scienziati, come Einstein, Heisenberg, autore dell’insolito libro nella storia della scienza, Fisica e Filosofia (1958), e il cosmologo svizzero Arnold Benz, con L’universo donato. Astrofisica e creazione (2010).
La posizione del libro edito dalla Specola Vaticana, si situa su questa linea del dialogo e della interazione, come la chiama il gesuita nordamericano George Coyne, predecessore nella direzione della Specola del p. Funes.
Lettura appassionante con una guida plurale aperta su temi affascinanti e ardui, come il Big bang, gli Ufo e l’intelligenza extraterrestre, il futuro dell’universo, diversamente intravisto dalla scienza e dalla teologia: come destino dalla scienza, come destinazione dalla teologia.
© 2015 by Corriere della Sera. Brescia, 28 gennaio 2015
© 2015 by Teologi@Internet
Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
Specola Vaticana (ed.)
ESPLORARE L'UNIVERSO, ULTIMA DELLE PERIFERIE
Le sfide della scienza alla teologia
Introduzioni e Trattati 42
2015 - pagine 256 + IV
"