16/01/2007
84. Ecumenismo come processo spirituale di Walter Kasper
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La convinzione che ci muove è la seguente: la forma della Chiesa futura dipende in misura significativa dal lavoro ecumenico mirante all’unità visibile tra le diverse chiese e che non c’è alternativa realistica all’ecumenismo.

Tale convinzione contraddice lo spirito di rassegnazione che è andato spesso diffondendosi negli ultimi anni. Questi spiriti critici ritengono che, dopo una breve ‘primavera’ e fioritura negli anni 1960 e 1970, il movimento ecumenico stia adesso vivendo una fase di ibernazione. Alcuni affermano addirittura che l’ecumenismo era destinato ad essere dimenticato fin dall’inizio. Oggi solo un limitato numero di persone sarebbe interessato alle differenze teologiche tra le chiese, per cui, stando a queste voci, l’ecumenismo riguarda soltanto un piccolo gruppo di teologi e di ‘iniziati’ ecclesiastici, che sono per di più imbrigliati dalle istituzioni ecclesiali.

Non possiamo negare che l’ecumenismo stia vivendo un momento critico. Diffusa è la convinzione che le differenze tradizionali siano oggi irrilevanti per la maggioranza della gente e che sarebbe possibile passarci semplicemente sopra. L’‘ecumenismo selvaggio’ che ne è seguito ha fatto emergere, come controreazione, un nuovo confessionalismo. Il movimento ecumenico è stato ritenuto responsabile dello sviluppo del relativismo e dell’indifferenza nelle questioni di fede. In realtà un sano ecumenismo, quale quello definito dal concilio Vaticano II, è la vittima piuttosto che l’origine di questa diffusa apatia. Tale nuova atmosfera fatta di sfiducia, di autodifesa e di ritirata è spesso affiorata all’interno di compartimenti confessionali, come si può osservare nelle discussioni ecumeniche con le chiese protestanti occidentali, nonché con le chiese ortodosse e con le antiche chiese cattoliche orientali.

Tuttavia anche l’‘ecumenismo sano’, che si sforza di prendere in seria considerazione le questioni teologiche irrisolte, sembra bloccato sotto vari aspetti. Nella seconda metà del XX secolo esso ha certamente fatto più di quanto aveva fatto nei secoli precedenti. Non solo è riuscito a superare numerosi fraintendimenti, ma ha anche ottenuto un certo grado di convergenza e di consenso in questioni di fede, che in passato erano state chiaramente causa di divisione. Dopo secoli di progressivo reciproco allontanamento e di mancanza di mutua comprensione, oggi i cristiani divisi non si vedono più come avversari ostili, ma come fratelli e sorelle, come amici. L’atmosfera tra le chiese è profondamente cambiata. Naturalmente ci sono ancora isolate ‘battaglie di trincea’ confessionali vecchio stile, ma esse sono percepite come anacronistiche e imbarazzanti dalla maggioranza dei cristiani.

Tuttavia, malgrado i molti risultati incoraggianti finora ottenuti, c’è un punto, sul quale finora non si è fatto alcun progresso significativo: la questione dell’ecclesiologia. Questo tema antico e complesso è balzato pubblicamente in primo piano quando, durante il giubileo del 2000, la Congregazione per la dottrina della fede dichiarò che le chiese della Riforma protestante non sono chiese nel senso proprio del termine. Anche se a livello linguistico ciò poteva essere espresso in una maniera più accettabile, dal punto di vista del contenuto tutti i partecipanti al dialogo ecumenico sono sempre stati consapevoli della differenza ecclesiologica. I protestanti non desiderano essere considerati chiesa nello stesso senso in cui la chiesa cattolica vede se stessa. Già all’inizio del movimento ecumenico la ben nota Dichiarazione di Toronto, fatta nel 1950 dal Consiglio mondiale delle chiese, stabilì che un consenso sulla questione ecclesiologica non era una precondizione per il dialogo ecumenico. Perciò la differenza tra le rispettive concezioni della chiesa, nonché la Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede su questa materia, non dovrebbero essere percepite come ostacoli, ma piuttosto come stimoli per il dialogo ecumenico.

Per quanto riguarda le relazioni con le chiese ortodosse, il conflitto emerse già prima all’interno del contesto del crollo del blocco orientale. Aspirazioni iniziali avevano indotto molti a prevedere un avvicinamento tra le chiese. Ma le cosiddette chiese ‘uniate’ in piena comunione con Roma, riaffiorate dopo la brutale repressione del sistema comunista che le aveva costrette a un’esistenza ‘catacombale’, reclamarono le loro proprietà, e ciò provocò una perdita dolorosa alle chiese ortodosse, specialmente in Ucraina e in Romania, e a volte un’aspra controversia sulla questione del cosiddetto uniatismo. Tuttavia divenne chiaro che la sottostante ragione di questo conflitto era il tema del primato papale e l’importanza della comunione con il papa, un tema particolarmente delicato, che aveva eccitato gli animi per secoli sia in Oriente che in Occidente. Questa è in effetti una delle questioni più delicate nell’agenda del dialogo ecumenico, questione sulla quale finora non si è ottenuto alcun consenso malgrado un innegabile avvicinamento.

Le differenti concezioni della chiesa hanno necessariamente condotto a differenti concezioni della perseguita unità delle chiese. Questo ha a sua volta appesantito e ostacolato il dialogo ecumenico. Certo, tutti concordano nel dire che la chiesa unita non può essere una chiesa unitaria, bensì una unità nella diversità, per cui spesso si parla di diversità riconciliata.

Tale formula può però essere intesa in modi diversi. La chiesa cattolica, pur rispettando tutte le tradizioni possibili e legittime, mira a una unità nella fede, nei sacramenti e nei ministeri ecclesiali. Le chiese della Riforma protestante si richiamano piuttosto alla Confessione di Augusta, la quale nell’articolo 7 afferma che la predicazione del vangelo nella sua purezza e l’amministrazione dei sacramenti secondo il vangelo sono condizioni sufficienti (satis est) per l’unità della chiesa. Secondo un’interpretazione oggi diffusa questo significa che l’unità richiede unicamente un accordo sull’intelligenza fondamentale del vangelo e che la comunione ecclesiale non esclude differenze nella concezione dei ministeri, nelle forme istituzionali e nelle professioni di fede, differenze che sono a volte anche contraddittorie. Secondo questa posizione ogni chiesa può essere in comunione eucaristica e ecclesiale con le altre pur mantenendo la sua indipendenza e le sue strutture.

Questo approccio passa sopra le differenze fondamentali esistenti tra diversità legittima nell’espressione dell’unica fede, da un lato, e la contraddizione tra posizioni opposte, dall’altro lato, per cui si dovrebbe più propriamente parlare di una diversità irriconciliata e di una unione di chiese senza una reale unità, piuttosto che di una diversità riconciliata. L’unità visibile è stata sostituita da una coesistenza pacifica e da una cooperazione amichevole, la comunione piena dall’intercomunione.

La convinzione che sta alla base di questo libro è che mirare a questa forma di unità è cosa teologicamente troppo modesta e addirittura contraddittoria. Le chiese devono certamente rimanere chiese, ma diventare anche progressivamente una sola chiesa (J. Ratzinger). Il lavoro teologico è una precondizione necessaria per questo. L’ecumenismo, anche se non consiste soltanto e esclusivamente in discussioni fatte da teologi specialisti, non può progredire senza una riflessione teologica seria la quale cerca di trasformare, ovunque ciò è possibile, posizioni opposte in posizioni complementari e in tensioni che si arricchiscono a vicenda. In questo senso possiamo parlare di evangelicalismo cattolico e di cattolicità evangelica.

In linea con questa concezione e nello spirito della Scuola di Tubinga – lo spirito di studiosi quali Johann Sebastian Drey e Johann Adam Möhler – i contributi che seguono partono dalla tensione esistente fra l’ecclesiologia e l’escatologia. La chiesa è vista come una realtà storica che, guidata dallo Spirito Santo, trascende se stessa per tendere verso il suo futuro e il suo compimento escatologico. All’interno della storia questa attività autotrascendentesi la troviamo nella missione e nell’ecumenismo. In ambedue queste realtà la chiesa è il datore ricco e, nello stesso tempo, il ricevitore ricco. Nella missione la chiesa fa spazio in maniera creativa in se stessa alle ricchezze di popoli e culture; parimenti nell’ecumenismo essa è arricchita dai doni delle altre chiese e le arricchisce con i propri. In questo scambio di doni essa diventa concretamente e pienamente quel che è sempre stata: l’una sancta catholica et apostolica ecclesia che tutto abbraccia.

Questo ecumenismo, che non guarda al passato ma al futuro, è un processo spirituale. L’ecumenismo spirituale è il cuore del movimento ecumenico. Questa è la ragione per cui la futura identità ecumenica della chiesa non può essere concretamente definita in anticipo. Non possiamo stabilire date precise e tabelle di marcia per essa. Dobbiamo rispettare la libertà dello Spirito. Ma poiché la chiesa del futuro non potrà essere una chiesa nuova o diversa, bensì solo la rinnovata ‘unica chiesa’ di Gesù Cristo di tutti i tempi, possiamo essere sicuri che la chiesa del futuro sarà in linea con la tradizione, tradizione intesa non come una realtà fissa, ma come un processo di trasmissione viva, come autotrasmissione di Gesù Cristo nello Spirito Santo.

Questo spirito non è, come alcuni critici dicono, né più né meno che lo spirito dei tempi, ma lo Spirito di Dio. Come ha esplicitamente affermato il concilio Vaticano II, è stato lo Spirito di Dio a ispirare il movimento ecumenico e continua a guidarlo. È lo Spirito di Dio a farci prendere sempre più coscienza del comandamento dell’unità dato da Gesù ai discepoli (cfr. Gv 17,21). Lo Spirito di Dio è fedele, possiamo fidarci di lui. Tra le difficoltà e le pene tale fiducia infonde in noi la speranza che egli porterà a compimento l’opera che ha iniziato (cfr. Rom 8,22ss.). Né i ‘segni dei tempi’ ci indicano un’alternativa all’ecumenismo. I contributi che seguono intendono rendere conto di questa speranza (cfr. 1 Pt 3,15), alimentarla e ravvivarla nei lettori e incoraggiarli a preservarla con pazienza, con quella pazienza che è la sua sorella minore (Charles Péguy).




© 2007 by Teologi@Internet
dal Libro: “Le vie dell’unità cristiana. Prospettive per l’ecumenismo”, Giornale di teologia 316, Queriniana Brescia, 2006
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)

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