Il sistema capitalistico, nella sua forma presente, non si inserisce più nel mondo di oggi. Questa affermazione da Klaus Schwab, presidente e co-fondatore del Forum economico mondiale di Davos, suggerisce che attualmente si è discusso della questione del sistema anche a questo incontro annuale dell’élite economica e finanziaria internazionale con il potere politico (25-29 gennaio 2012). Dopo che dal 2008, la crisi immobiliare statunitense si è trasformata in una crisi del mercato bancario e finanziario, in cui gli stati si sono visti costretti a salvare le banche dalla bancarotta con il denaro dei contribuenti, la crisi del debito pubblico degli stati europei – ma non solo – continua a tenere economia e politica in costante tumulto. Le informazioni su “paracaduti” sempre più grandi di miliardi di Euro destinati a contenere l’insolvenza della Grecia e di altri paesi fanno sempre più dubitare delle promesse sulla crescita e delle affermazioni sull’autoregolamentazione dei liberi mercati.
«C’è un mal funzionamento del mercato e dello stato, se – come è avvenuto nella crisi delle banche – i profitti vengono privatizzati e le perdite sono socializzate. Ciò mina le basi del capitalismo. Le imprese devono guadagnare, ma anche rispondere dei rischi», così riassumendo si è espressa la Neue Zürcher Zeitung di Zurigo (Svizzera) sulla situazione a fine anno. Il quotidiano liberal-conservatore vede minacciata la democrazia: «Dove nelle democrazie la classe media ha l’impressione che una piccola élite sia sempre più assente, chiusa in un suo mondo indolore, trovano gioco facile i sostenitori di un socialismo statalista, di misure restrittive da parte dello stato e di irragionevoli meccanismi di ridistribuzione. Gli eccessi dei singoli mettono a rischio l’economia di mercato nel suo insieme».
Ma come si possono affrontare queste intemperanze? Finora ci si era fidati del libero gioco di mercato fatto dalla domanda e dall’offerta. Meglio delle autorità dello stato, la concorrenza, così almeno in teoria, si preoccuperebbe che alle imprese, che vivono dello scambio di rapporti, i contratti venissero cancellati o fossero dati ad altri da parte di concorrenti ambiziosi. Precisamente in questa logica, per cui il mercato punisce le esagerazioni, viene messo in questione se i paesi dell’Euro, avendo una divisa comune, debbano accendere anche comunitariamente i crediti. Se la Germania o altre nazioni dall’”economia solida” intervengono in aiuto della Grecia, del Portogallo, della Spagna e di altri stati, anche in futuro non ci saranno forme di risparmio, ma emetteranno del denaro che non possiedono. Il mercato finanziario dovrebbe richiamare all’ordine i paesi non virtuosi. Le conseguenze sono l’aumento dei tassi d’interesse sui titoli di stato e la scommessa su quale sarà il prossimo paese a finire nel piano degli aiuti o a fare fallimento.
E chi governa il denaro?
Come indicatore importante dell’affidabilità creditizia di un paese vale attualmente la valutazione delle assicurazioni sulla insolvenza creditizia sulle obbligazioni di stato di una nazione, come è attualmente il caso del Portogallo. Questi scambi di insolvenze sul credito (Credit Default Swap – CDS) dovrebbero – così secondo il loro significato originario che risale agli anni Ottanta del secolo scorso – allentare il rischio di insolvenze creditizie, spalmandolo su più soggetti e così mitigandolo. In realtà si è trattato, o meglio si dovrebbe dire, si è scommesso su questi per raggiungere i profitti più alti in assoluto. Sono valsi se non come fattore scatenante certamente però quali acceleratori esagerati della crisi finanziaria del 2008. Quando negli Stati Uniti esplose la bolla immobiliare, la maggior parte delle banche non sapeva quali crediti sulla casa – inizialmente spezzettati e poi raccolti in titoli – stessero nelle loro assicurazioni sulle insolvenze. Quei titoli erano considerati tossici, velenosi. Fare affari con essi non era neppure da immaginare. I politici di tutti i partiti in Europa proibirono tali prodotti finanziari.
Dal momento del divieto sino ad oggi nulla si è realizzato. Quanto sia folle misurare con essi l’affidabilità creditizia di una nazione lo mostra la descrizione degli scambi di insolvenze creditizie (CDS) nell’articolo principale dello Spiegel intitolato Il denaro governa il mondo... e chi governa il denaro?: «Non esistono borse per le assicurazioni creditizie, non ci sono regole, il controllo è assente, mancano le prescrizioni, venditori e compratori stabiliscono le condizioni dei contratti in scambi diretti. Nessuno sa esattamente, neppure le banche tra di loro, a quanto ammontino le passività nette dei contratti CDS, né si conosce chi, come e quanti CDS siano stati registrati. I CDS sono pericolosi perché promettono una sicurezza là dove non c’è alcuna certezza. Incrinano grossi crediti, le bancarotte assumono proporzioni da grande crisi... I CDS agiscono, nel peggiore dei casi, come benzina sul fuoco».
Il Portogallo minaccia – come è stato profetizzato a suo tempo – di diventare la seconda Grecia, anche se non si può in alcun modo confrontare i due paesi. La Germania e gli altri paesi della zona Euro pagheranno, in questo caso, per aver lasciato alle speculazioni dei mercati finanziari il giudizio circa la sostenibilità futura dell’economia di uno dei loro stati membri anziché introdurvi solide regole politiche. Con i miliardi di Euro dei contribuenti che si devono versare ora, dopo il salvataggio delle banche, per la salvezza di intere nazioni, sta aumentando il malcontento verso l’integrazione europea. Si è da tempo dimenticato che la Germania, in quanto nazione che vive più delle merci esportate che di quelle importate, trae vantaggio da un Euro stabile e, a confronto con altre divise, addirittura favorevole, guadagnando persino dagli eccessi degli europei del sud: i prodotti tedeschi sono stati spesso pagati con i crediti dalle banche tedesche.
Anche gli apostoli sarebbero impotenti
Un immenso indebitamento nazionale va osservato non solo nei paesi dell’Europa meridionale. Anche Germania e Francia con i loro debiti accumulati non soddisfano gli standard una volta stabiliti a Maastricht (Olanda). E come quello degli Stati Uniti d’America, che attualmente criticano aspramente l’Unione europea a motivo della crisi, il loro debito di quindicimila miliardi di dollari, quindi 15.000 miliardi mai voluti estinguere, altrettanto poco chiaro è il caso del Giappone. Si continua come prima ad aver fiducia che i debiti di oggi verranno estinti dalla crescita futura. Questo è il modo pratico per “finanziare” ciò che è pubblico – sia che si tratti di infrastrutture, servizi sociali o sviluppo economico. Lo stato sociale non sopravvive solo – come spesso viene sostenuto – attraverso una redistribuzione dal ricco al povero, ma piuttosto a scapito delle generazioni future e della classe media.
La critica a una politica del debito appare anche giustificata come critica ad un’economia orientata alla crescita ed al profitto. «Il fatto che tutto sia andato male non è colpa delle persone», ha detto l’economista ceco Tomáš Sedláček sulla Frankfurter Rundschau a proposito – come egli sottolinea – dell’indebitamento europeo e non solo greco, irlandese o tedesco. «Se i dodici apostoli fossero personalmente i guardiani dell’Euro, tutto si sarebbe svolto come ora. Non è una questione di morale personale. Si tratta del sistema. Il denaro non può fare pressione. È un bene. Abbiamo bisogno di un sistema che escluda anche la stampa dei buoni obbligazionari. In caso contrario la tentazione è troppo grande. Anche per un santo. Non ha senso attendere un messia politico, il grande Buonuomo. Dobbiamo cambiare il sistema».
Cosa vuole il 99 per cento?
La richiesta di Sedláček di una “politica della minimizzazione dei debiti” sembra dare ragione all’insistenza della Germania per un patto fiscale. Nonostante l’opposizione di quasi tutti i paesi della zona Euro, la cancelliera Angela Merkel e il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble avevano sollecitato l’introduzione obbligatoria di un cosiddetto freno dell’indebitamento, come in questa parte del mondo esisterà nel prossimo futuro. Negli anni a venire ciò significherà semplicemente che dovranno essere fatti meno debiti. Entro un paio d’anni gli stati federali non potranno avere alcun debito ed il governo centrale potrà farne solo in piccola misura. Se si atterranno a questo è ancora tutto da verificare.
Nei paesi emergenti e in via di sviluppo una tale politica del risparmio potrebbe incidere sfavorevolmente. Infatti l’economia è in recessione, come già ora negli stati che debbono fronteggiare i severi requisiti del risparmio. In questo modo si riduce anche la domanda di materie prime, la principale fonte di reddito per i paesi in via di sviluppo che già hanno fortemente sofferto della crisi finanziaria del 2008. I paesi poveri avevano aperto i loro mercati al commercio mondiale, come richiesto dal Fondo Monetario Internazionale dominato dall’Occidente. Ora tutto dipende da questo, se i paesi ricchi acquistano i loro prodotti. Un ulteriore problema è che l’aiuto allo sviluppo – come l’esperienza dimostra – è una delle prime voci che vengono decurtate, e che le imprese europee aboliscono per primi gli investimenti all’estero.
Ci vuole quindi un sistema del tutto diverso? Al Forum sociale mondiale, sorto nel 2001 come controparte del Forum economico mondiale, si incontrarono in quell’anno nella città brasiliana di Porto Alegre (Rio Grande do Sul, 25-30 gennaio) organizzazioni non governative, associazioni ambientaliste e movimenti sociali, al fine di mettere in discussione criticamente la globalizzazione unilateralmente contrassegnata da termini economici. In una prima bozza per un concetto alternativo, i “beni comuni” (commons), come l’aria, l’energia, la terra, l’acqua, le foreste o la biodiversità, vengono contrapposti alla proprietà privata. Viene anche richiesta una democratizzazione radicale dell’economia e della politica. «Al posto del monopolio della proprietà privata proponiamo forme sociali di proprietà, per garantire il controllo, l’uso e la conservazione delle risorse». A queste dovrebbe essere negato l’«accesso ai mercati e al capitale finanziario».
In un mondo in cui sempre più persone non hanno acqua potabile pulita, in cui le grandi imprese si accaparrano rapidamente vaste aree di territorio, cacciandone i piccoli agricoltori, si distruggono le foreste e gigantesche piantagioni vengono utilizzate per la produzione industriale di carne e “bio”carburanti, tali richieste sono condivisibili. Ma sul modo di praticare la via che porti a una maggior giustizia le opinioni tra i critici della globalizzazione divergono alquanto: «Oggi e qui tutti noi siamo compiaciuti nel concordare su tutti i punti. Dobbiamo incominciare a pensare a come raggiungere il 99 per cento di coloro che sono in disaccordo con noi» ha detto Francisco Whitaker Ferreira. Il membro fondatore del Forum sociale mondiale faceva riferimento con ciò al movimento Occupy Wall Street – occupare Wall Street – sorto come reazione alla crisi finanziaria che, con l’appello del “Siamo noi il 99 per cento”, ha mostrato di rappresentare il 99 per cento della popolazione che non si arricchisce attraverso le speculazioni del mercato azionario. In quanto movimento spontaneo libero da ideologie alcuni dei partecipanti al Forum sociale mondiale lo avevano rifiutato. Anche i rappresentanti della ribellione araba (Arabellion) o degli indignati (Indignados) spagnoli non erano presenti in Brasile. «Siamo diventati troppo tranquilli?» ha detto autocriticamente Jürgen Riedel del Servizio evangelico allo sviluppo.
Mentre l’incertezza regna ovunque, suscita interesse la certezza di un comunicato dell’Agenzia cattolica di informazione: «La crisi finanziaria poteva essere evitata secondo il cardinale di Monaco, Reinhard Marx, osservando la dottrina sociale cristiana». A parte il fatto che non è ormai possibile verificare questa forte espressione, bisogna dare ragione al cardinale che i princìpi fondamentali della dottrina sociale cristiana sono una “critica del capitalismo”. Un “capitalismo da casinò” che ruota solo intorno alla rendita del capitale è ingiustificabile nella prospettiva cristiana. Ma è possibile fare ritorno alla dottrina sociale cristiana in un mondo multireligioso, in parte allontanatosi dalla religione come “fonte di rinnovamento”?
Il principio di fondo della dottrina sociale, la persona, pone l’essere umano che lavora al centro di ogni considerazioni economica, senza limitarla a questo ambito della vita. La solidarietà esclude concetti che trasfigurano una pura contrapposizione tra le persone come forma particolarmente efficiente per la promozione del progresso e la massimizzazione del profitto. Inoltre, questa solidarietà viene compresa da decenni aldilà dei confini nazionali e continentali. Il principio di sussidiarietà è di solito enfatizzato solo quando si tratta di aiutare il singolo individuo o il piccolo gruppo a perseguire i propri diritti. Le istituzioni ad alto livello dovrebbero intervenire solo se non è più possibile regolare le cose a livelli inferiori.
La concorrenza ha bisogno di ordine
Questo significa pure che nel caso in cui l’unità più piccola non riesca a regolarsi, l’unità maggiore deve intervenire. Allo stato attuale avviene che gli stati nazionali si trovano a fare i conti con la pretesa eccessiva loro imposta di emanare norme vincolanti per l’economia e i mercati finanziari globalizzati. I governi e i parlamenti semplicemente si indirizzano gli uni contro gli altri mossi dalle multinazionali che agiscono a livello mondiale. Ciò è confermato dalle delocalizzazioni delle imprese in paesi con i più bassi costi del lavoro e con una mancanza di normative in materia di tutela dell’ambiente, e dal timore spesso manifestato che una tassa minima sulle transazioni finanziarie applicata esclusivamente in Europa significherebbe che il business non verrebbe più quotato alle borse di Francoforte o di Parigi, ma altrove. Se la politica vuole riacquistare il primato, ovvero la posizione di preminenza rispetto alla porzione limitata che è l’economia, come hanno chiesto nel 2008 i politici di tutti i partiti di tutti i paesi occidentali, questo può accadere solo a livello mondiale in un’economia globale.
In questa questione non vi è alcuna contraddizione fra la dottrina sociale cristiana e la teoria economica ordoliberista 1, come venne sviluppata dall’economista di Friburgo Walter Euken e alla quale volentieri si rifanno i rappresentanti dell’economia. Da ciò dipende il quadro solido, regolato dalle leggi che rendono possibile la concorrenza e il libero mercato. Attualmente non esistono leggi quadro complete, ma molte regole e regolamenti giuridici diversi superando i quali si intessono gli affari. Le aziende possono, a seconda della situazione che a loro accomoda più o meno, scegliersi un “diritto” nazionale. Un altro problema è l’ingerenza statale nei singoli processi del commercio. Se una grande impresa, magari di rilevanza nazionale, minaccia il fallimento o l’acquisizione da parte di altre società, i politici di tutti le parti intervengono volentieri con garanzie statali o altri aiuti per salvare, in modo efficace per il grande pubblico, dei posti di lavoro, ma in effetti per assicurare gli interessi nazionali o la propria rielezione. Quest’ultimo caso si è di nuovo verificato quando la catena di drogherie Schlecker ha annunciato la propria insolvenza e, allo stesso tempo, il ministro delle finanze e dell’economia del Baden-Württemberg, Nils Schmid, ha se non altro messo in gioco le garanzie di quella regione. Tra queste vi sono le agevolazioni fiscali, come quelle ad esempio concesse dal Partito liberal democratico (FDP) agli albergatori subito dopo essere passato al potere contro le proprie convinzioni liberali recitate a mò di mantra. Il salvataggio delle banche è probabilmente l’esempio più costoso di una tale intromissione politica, il che contraddice il principio secondo cui non solo i successi ma anche i rischi devono essere sostenuti dalle imprese e dalle banche – se necessario anche il collasso, che rafforza altri soggetti nella concorrenza e crea nuovi posti di lavoro.
Rimane la domanda di come potrebbe essere una riforma del capitalismo nel senso della dottrina sociale cristiana, ma anche secondo i princìpi ordoliberistici. Un passo concreto sarebbe lo sviluppo e l’implementazione di una economia di mercato globale ecosociale (cf. CIG 29/2008, 319). Come le imprese europee accettano da parte dei fornitori – a prescindere dalla nazionalità di questi – solo i prodotti che sono stati fabbricati in conformità alla norma tecnica ISO 9001, lo stesso si potrebbe introdurre per gli standard ambientali e sociali. Attualmente, la produzione lesiva per l’ambiente di materie prime, prodotti alimentari e delle industrie complementari avviene preferibilmente nei cosiddetti paesi a basso salario in Asia, Africa e America del Sud. Lo sfruttamento della natura, dei lavoratori e dei bambini rende vantaggiosi i prodotti in questi paesi. Allo stesso tempo non si è costretti a vedere davanti alla propria porta la sporcizia e la violazione dei diritti umani. Questa situazione potrebbe cambiare se l’Europa – che è ancora la superpotenza economica – stabilirà in modo vincolante che vengano importati solo i beni e i servizi fabbricati o prodotti secondo opportuni requisiti minimi sociali ed ecologici. Dopo le esperienze maturate con la crisi dei mercati finanziari dovrebbero essere introdotti anche per i prodotti finanziari adeguate certificazioni. Tutto ciò certamente non sarebbe la fine del capitalismo, ma sarebbe ostacolare lo sfruttamento di molti per la massimizzazione del profitto senza scrupoli da parte di pochi.
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∗ Stephan Neumann (1975) è membro di redazione di Christ in der Gegenwart. Ha studiato teologia a Friburgo (Germania), collaborando poi in lavori editoriali e nell’ambito dei media.
1. [L’ordoliberismo (Ordoliberalismus) è una corrente socioeconomica liberale, che interviene nel sociale, per garantire pari dignità e pari trattamento di fronte alla legge ed alle istituzioni, ma anche per rendere il mercato meritocratico. Apparso in Germania a partire dagli anni Trenta in risposta alla profonda crisi economica e politica, ha dato origine all’economia sociale di mercato. Concepito dalla Scuola di Friburgo (Germania), l’ordoliberismo, nato per essere una forma di liberismo di massa, è la forma più progressista dei modelli liberali. Il termine venne coniato nel 1950 in riferimento alla pubblicazione Ordo].
© Christ in der Gegenwart (Freiburg i. Br.) 7/2012, Herder Verlag
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Traduzione dal tedesco della Redazione Queriniana
Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
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