Di recente Queriniana ha pubblicato un originale saggio storico di David Hamidović che spiega come gli angeli, in epoca antica, siano comparsi nella letteratura mondiale. Al tema dell’origine delle creature angeliche si associa quello della loro identità e delle funzioni che, tradizionalmente, vengono loro assegnate.
Jim McDermott, associate editor della rivista dei gesuiti statunitensi America, nel breve testo che ora riportiamo riprende a suo modo la questione. Si chiede infatti: i nostri cari che sono scomparsi diventano forse degli angeli, pronti a soccorrerci? Posto che «non disponiamo di alcuna testimonianza diretta», egli osserva che stando al parere di qualcuno è certamente così, mentre per altri l’idea risulta in sé ridicola, puerile. L’argomento, nondimeno, solleva alcune domande interessanti: se gli angeli non sono delle persone morte che vegliano su di noi, chi o che cosa sono? E se non possiamo diventare angeli quando moriamo, potremo comunque intercedere per le nostre famiglie dal cielo? Seguiamo il suo semplice ragionamento.
I portavoce di Dio
Scrivere di angeli è difficilissimo, credetemi. La maggior parte delle immagini che abbiamo di loro – putti con le ali; dei tizi con spade infuocate; Patrick Swayze a torso nudo – non provengono dalle Scritture, ma da una millenaria cultura popolare. Prendete per esempio una delle storie più note sugli angeli: la battaglia nei cieli e la caduta di Satana. Se l’Apocalisse racconta una guerra del genere, la descrizione occupa tre versetti soltanto e si tratta in realtà della rappresentazione di una futura battaglia finale del bene contro il male nei cieli, anziché di un evento passato.
Anche i cherubini, raffigurati come degli adorabili bimbetti alati, sono una creazione degli artisti rinascimentali, essa stessa derivata dall’antichità greca e romana, che amava rappresentare gli “spiriti” o gli istinti che influenzano le nostre decisioni, per esempio l’attrazione, come dei fanciulli con ali (pensate a Cupido). Nelle Scritture i cherubini sono citati più di ogni altro genere di angelo (novantuno occorrenze); ma l’unica volta che vengono descritti, da Ezechiele, appaiono con ali, quattro facce (uomo, leone, toro e aquila) e sicuramente non sono dei bambini. Portano in giro Dio su un trono oppure proteggono l’Eden con una spada infuocata… E tu prova a tirarne fuori qualcosa di dolce e carino, Donatello!
Pure l’idea dell’angelo custode che se ne sta lì buono ad assicurarsi che non veniamo investiti da un’auto deve molto di più al film La vita è meravigliosa che alle Scritture. Il termine greco per angelo è ángelos, che letteralmente significa “messaggero”; anche la versione ebraica, malak, ha lo stesso significato.
I modi in cui gli angeli portano i loro messaggi possono variare di molto. In Luca l’angelo Gabriele semplicemente appare e dice a Maria quel che deve; in Numeri, invece, un angelo invisibile continua a spaventare l’asina di Balaam finché il padrone non comincia a punirla, al che l’angelo si rivela e afferma di essere scontento di Balaam, facendo sì che egli cambi il proprio comportamento. (E sì, direi che è proprio un gran lavoraccio per consegnare un messaggio).
«Personaggi minori, gli angeli compaiono nelle tradizioni letterarie più antiche giunte fino a noi: sono tradizioni che oscillano fra l’eredità di un mondo ancora più antico e la tensione con un mondo più recente, plasmato da nuove concezioni e valori» (D. Hamidović).
Dal roveto ardente che Mosè vede sul monte, e che lo mette in cammino per compiere la sua missione, proviene una voce – quella, dice il testo, di «un angelo del Signore». Come lo sono i giovani vestiti di bianco presso la tomba vuota di Gesù, che annunciano alle donne che Gesù se n’è andato.
A volte gli angeli della Bibbia aiutano le persone. Prendono Lot e lo portano via da Sodoma, quando lui indugia nella fuga; liberano i discepoli imprigionati in Atti; si prendono cura di Gesù nel deserto, servendolo. Tuttavia, nella Bibbia non c’è alcun fondamento dell’idea che la gente ha degli angeli custodi, in senso stretto.
La Bibbia non lascia mai intendere che gli angeli abbiano il libero arbitrio o un’identità individuale. Nelle Scritture, soltanto tre angeli hanno un nome, pur comparendo quasi di sfuggita: Raffaele, Gabriele e Michele. Lucifero, citato soltanto in Isaia 14, non è riferito a un angelo bensì al re di Babilonia e alla caduta che subirà per mano di Dio.
In alcuni casi nelle Scritture gli angeli sono identificati così strettamente con Dio che, di fatto, non è chiaro se ci si riferisca direttamente a lui. In Giudici 2 un angelo parla dell’uscita degli Israeliti dall’Egitto e dice di averli condotti nel paese che aveva promesso di dare loro. Anche in Genesi 18 si legge che «il Signore apparve ad Abramo», ma in realtà si tratta di tre uomini che però, quando parlano, tornano a identificarsi con il Signore. Questa apparente mancanza di distinzione tra Dio e i suoi angeli non è un errore di traduzione: è così che i messaggeri venivano intesi nel mondo antico. Secondo Laurie Brink, docente alla Catholic Theological Union di Chicago, «nel periodo greco-romano, quando gli ambasciatori o i delegati parlavano al popolo, lo facevano in persona di chi li aveva inviati. È così che funziona con gli angeli biblici: erano i portavoce di Dio».
Dunque, stando alla Bibbia, gli angeli sono messaggeri, sono dei portavoce. Ma proprio non sono i nostri congiunti scomparsi (o qualunque altro essere umano, per dirla tutta).
A spasso tra le nuvole, suonando l’arpa?
Facile confondersi, vero? C’è una vera e propria serie celeste di ragioni per cui potremmo associare i nostri defunti con gli angeli. Innanzitutto, rispecchia il nostro desiderio di essere pienamente uniti a Dio e anche riuniti con i nostri cari dopo la morte, e in connessione con loro mentre siamo in vita. Crediamo che Dio abbia un posto pronto per noi in cielo e, nelle Scritture, gli angeli vengono talvolta rappresentati attorno al trono di Dio, in paradiso, mentre cantano le sue lodi (cfr. Apocalisse 5 o Isaia 6). Se immaginiamo di essere vicini agli angeli in cielo, è davvero tanto strano pensare che potrebbero anche crescerci le ali? Inoltre, vi sono uno o due passi biblici che potrebbero suggerire un collegamento più profondo tra i defunti e gli angeli. Si pensi per esempio a Matteo 22,30: «Alla risurrezione non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo», afferma Gesù.
Anche se nelle Scritture non troviamo alcuna descrizione concreta della vita dopo la morte, “aiutare chi ne ha bisogno” sembra un quadro probabile di quel che faremo in paradiso, o parte di ciò che dobbiamo fare per entrarci, parte di quel processo di purificazione che la chiesa ha immaginato accada dopo la morte. In fondo, non è questo il genere di aiuto che ci aspetteremmo da chi ci ama, o anche solo da noi stessi? Possiamo veramente pensare che quando moriamo smettiamo di preoccuparci dei bisogni delle persone che tanto hanno significato per noi, o che il Dio che ci ha amati al punto tale da decidere di diventare lui stesso un essere umano voglia questo per noi?
Di fatto, la nostra pratica di fede ha incluso a lungo l’idea di chiedere ai defunti d’intercedere per noi. Nel III secolo d.C. la richiesta veniva addirittura rivolta a chi ancora non era morto: i cristiani chiedevano alle persone che si pensava avrebbero subìto il martirio d’intercedere per loro una volta morte, principalmente per il perdono dei peccati e la riconciliazione con Dio. «E quando quella persona veniva martirizzata, la gente immaginava che fosse ciò che andava a fare in paradiso» (Carolyn Osiek).
«Nei primi secoli dopo Cristo, all’interno della letteratura apocalittica, viene alla luce anche questa tendenza: degli esseri umani possono trasformarsi in angeli, vengono come “angelificati”, oppure in altri casi ricevono un abito celeste e ottengono di avvicinarsi alla sfera degli angeli» (D. Hamidović).
Nella chiesa primitiva c’era l’idea di un legame continuo anche con i familiari defunti. All’anniversario della scomparsa di un proprio caro, gli altri componenti della famiglia si riunivano sulla sua tomba e consumavano un pasto di comunione. Nel corso del pasto si teneva una sorta di brindisi e si versava a terra un po' di vino (oppure lo si versava direttamente nel sepolcro, attraverso un foro presente nella tomba proprio per questo scopo). Non si trattava di chiedere aiuto ai morti, «ma di condividere il pasto e la vita con i cari defunti, nel desiderio di sentirli ancora presenti» (Carolyn Osiek).
Un angelo con l’ala spezzata
Forse la domanda circa esseri umani e angeli si riduce a una questione semantica. No, non pensiamo che gli esseri umani possano diventare degli angeli veri e propri. Sono esseri completamente diversi da noi, e probabilmente non ci piacerebbe diventare come loro nemmeno se potessimo, perché, in quanto messaggeri divini, gli angeli non sembrano avere una vita propria.
Tuttavia, è in sintonia con la nostra fede credere che sia possibile per i defunti soccorrerci, aiutarci? Assolutamente sì. Ogni volta che preghiamo un santo perché interceda per noi, stiamo esprimendo proprio questa convinzione. La chiesa è giunta persino ad assegnare ai diversi santi i propri “casi”: conosci qualcuno la cui situazione sembra disperata? Affidalo a san Giuda. Hai perso il portafoglio? Fa’ un fischio a sant’Antonio…
Perciò, la prossima volta che vi serve aiuto, sentitevi liberi di dire una preghiera ai vostri nonni, o a vostra moglie, a un santo oppure a un amico scomparso. Forse non avranno le ali (e, grazie al cielo, nemmeno quattro facce). Ma immaginiamoli comunque lassù, a fare il tifo per noi.
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