Il pittore francese Paul Cézanne ha scritto: «La natura non è alla superficie, ma nella profondità, i colori sono l’espressione di questa profondità alla superficie, essi salgono dalle radici del mondo». Come dire che la fotografia è sempre fotografia della superficie, ma è la pittura come arte dei colori a dischiudere la profondità del mondo. Analogamente, si potrebbe dire che la teologia, interpretando il mondo come «creazione di Dio», ne svela la profondità, inserendolo nell’orizzonte della gloria di Dio e del suo donars
La trattatistica teologica, prima di quella che va sotto il nome di «crisi ecologica» scoppiata agli inizi degli anni Settanta con l’allarmante dossier del Club di Roma, I limiti dello sviluppo (1972), quando trattava della natura, poneva il problema (sempre valido) di come si possa conoscere Dio a partire dalla natura. Ma, ora, la prospettiva cambia e il problema diventa come si possa conoscere la natura a partire da Dio: la dottrina della creazione assume nuovi connotati e diventa dottrina ecologica della creazione.
Il progetto moderno di amministrazione del mondo ha condotto alla crisi ecologica: fin dalle origini del mondo moderno il sapere è stato finalizzato al potere da esercitare sulla natura (Bacone); il pensiero, la res cogitans, è stato finalizzato al dominio sulla natura, sulla res extensa (Cartesio). Tale dominio si è progressivamente configurato come sfruttamento: scienza e tecnologia hanno considerato la natura come res nullis, come cosa appartenente a nessuno, e, dunque, sfruttabile e manipolabile a piacimento. Rispetto alla natura, anche il marxismo, che pure criticava «lo sfruttamento capitalistico dell’uomo da parte dell’uomo», manteneva il linguaggio e la pratica dello sfruttamento della natura.
Anche il cristianesimo ha le sue responsabilità nell’aver favorito il saccheggio della natura? Esiste al proposito una discussione, ma qui vogliamo ricordare l’analisi espressa autorevolmente dal teologo Wolfhart Pannenberg nella sua grande opera Antropologia in prospettiva teologica, secondo la quale la responsabilità va addebitata al secolarismo, che, negando ogni rimando a Dio, afferma un dominio assoluto e dispotico dell’uomo; e non alla fede cristiana, secondo la quale è assegnata all’uomo una signoria filiale e responsabile sul creato, nella linea della nota tesi di Gogarten, che distingue tra legittima secolarizzazione e secolarismo.
Ma per Jürgen Moltmann, nella suggestiva opera
Dio nella creazione, di fronte alla crisi ecologica ci sono rettifiche da apportare anche in campo teologico ed ecclesiale. In ambito cristiano si sarebbe infatti tacitamente conclusa una spartizione di competenze: la natura è stata abbandonata alla scienza e alla tecnologia, e la teologia si è riservata la storia, che interpreta come storia di salvezza. Ma, così, la teologia non ha reso culturalmente operante la fede cristiana nella creazione.
La trattazione di Moltmann è suggestiva e sollecita a passare da una concezione gerarchica degli esseri a una concezione comunionale; da un pensiero analitico, che seziona e parcellizza, a un pensiero integrante, che integra i diversi approcci al reale, che conosce non per dominare (Bacone e Cartesio), ma per partecipare; dalla concezione meccanicistica (Newton) e dall’antropocentrismo radicale di un largo tratto della tradizione occidentale a una coscienza ecologica, per la quale la natura non è solo «materiale naturale» e «oggetto di lavoro» (Marx) , ma oikos, casa e abitazione degli umani.
Un’altra opera fondamentale sul tema ecologico è il testo del teologo cattolico tedesco Alfons Auer,
Etica dell’ambiente. Un contributo teologico al dibattito ecologico, opera che ha dato inizio a un dibattito ecologico nella teologia. Per Auer: «Ogni
ethos mira a una realizzazione tridimensionale dell’esistenza: a ritrovare l’identità personale, alla solidarietà con i propri simili, e ad un rapporto responsabile con lo spazio vitale della natura».
La razionalità etica, sia come razionalità personale, sia come razionalità sociale, comporta una dimensione ecologica. L’agire ecologico del singolo deve concretizzarsi in un nuovo stile di vita, che si esprime nel rispetto della natura, nella razionalità («noi non abbiamo troppa razionalità, ma sempre troppo poca»), nella moderazione (e non nel consumismo). Ma la soluzione dei problemi ecologici non è solo un problema di etica personale (micro-etica), bensì anche di etica sociale (macro-etica), che dovrà concretizzarsi nell’orientare la crescita economica alla giustizia sociale e alla sopportabilità ecologica, nella lotta all’inquinamento e al degrado ambientale, in una pratica responsabile nei confronti delle risorse e dell’energia, in una organizzazione adeguata del paesaggio e nella limitazione responsabile della popolazione.
La teologia ecologica ha vivo il senso della comunità della terra e del mondo come creazione di Dio. È un senso espresso a più riprese anche dalla ricerca storico-teologica delle donne, di cui è significativo il recente saggio della teologa cattolica Rosemary Ruether,
Gaia e Dio. Una teologia ecofemminista per la guarigione della terra, dove s’individua la linea ecologica della Bibbia, da assumere per guarire la terra, sottraendola alla cultura del dominio.
A partire dalla Conferenza ecologica di Rio de Janeiro (1992) anche la teologia che si elabora nel Terzo mondo ha assunto il tema ecologico, anche se con una modalità propria, come risulta dal fascicolo della rivista internazionale di teologia Concilium, dedicato al tema «Ecologia e povertà: grido della terra, grido dei poveri» (n. 5, 1995).
La crisi ecologica conferma molti studi della teologia emersa nel Terzo mondo nelle sue analisi della crisi del senso profondo del nostro sistema di vita, del nostro modello di società e di sviluppo: «Dobbiamo accogliere il problema sorto nella coscienza dei paesi ricchi, dargli un’altra versione e anche una soluzione diversa nell’interesse di tutti gli esseri umani e della natura, a partire dai più minacciati tra gli umani e tra gli esseri del creato».
Il «riscatto della teologia della creazione» deve andare oltre l’ambientalismo, che si batte per la difesa dell’ambiente, e oltre il conservazionismo, che si batte per la conservazione delle specie viventi; l’ecologia nella prospettiva del Sud del mondo mette in discussione il modello di sviluppo; «I paesi industrializzati, situati quasi tutti nell’emisfero Nord, sono responsabili dell’80% dell’inquinamento della terra (gli USA da soli del 23%)»; e si avanza il progetto di una democrazia ecologico-sociale, in quanto la giustizia sociale deve includere la giustizia ecologica, come è evidenziato nel caso dell’Amazzonia, dove lo sfruttamento ecologico diventa anche sfruttamento sociale.
La teologia e la Chiesa cristiana sono oggi chiamate a destarsi da quello che potrebbe essere definito come «oblio della creazione», e a sviluppare tutto il potenziale teologico ed ecclesiale, ma anche culturale e politico, della fede nella creazione.
Per seguire l’intera storia del dibattito sul rapporto teologia ed ecologia, si può consultare il mio
La teologia del XX secolo, nell’edizione attualizzata con un’appendice dedicata a «Il passo del Duemila in teologia», in particolare alla parte dedicata alla
Teologia in prospettiva ecologica.
Tra le opere più recenti da segnalare vi è quella del teologo domenicano Christophe Boureux,
Dio è anche giardiniere. La creazione come ecologia compiuta. L’autore non tratta della natura (insieme delle cose nate nel mondo); e neppure dell’ambiente (parola che antropologizza il problema) ma del mondo nella sua varietà come creazione di Dio, nella sua triplice dimensione: creazione all’inizio; l’atto di sostegno della creazione nel suo svilupparsi e nella sua evoluzione; l’atto creativo escatologico di finale compimento della realtà del mondo. Si tratta di guardare il mondo con un occhio nuovo, con un occhio più penetrante che si avvale dell’annuncio della rivelazione. Citiamo la sua tesi: «Si tratta dunque di considerare-guardare (
envisager) la creazione come paesaggio cristiano.
In francese, il verbo envisager è adattissimo ad affrontare la questione della creazione, poiché corrisponde a parecchi significati. Comporta innanzitutto un aspetto di dubbio, di congettura, di supposizione che si addice a ogni ricerca teologica (si prende in considerazione ovvero si esamina – on envisage – una risposta a una domanda).
Difatti l’espressione della fede presuppone sempre una parte di dubbio e di esitazione sulla pertinenza della propria enunciazione, a dispetto della forza del proprio investimento esistenziale, suscitata dalla grazia di Dio, che permette di rispondervi. Guardare (envisager) al mondo come creazione significa tentare, arrischiare una descrizione del mondo in coerenza con il patrimonio di sapienza ereditato dal cristianesimo» (p. 15).
Questo è avvenuto negli ultimi anni: dopo il passaggio della problematica ecologica dal campo scientifico al campo teologico, si è passati da ultimo al magistero sociale della Chiesa. La teologia ecologica è entrata nella dottrina sociale della Chiesa in modo particolare con la enciclica sull’ecologia di papa Francesco.
La Laudato si’, pubblicata nella Pentecoste del 2015, inizia poeticamente e teologicamente con l’invocazione francescana «Laudato si’, mi’ Signore», ed esprime il tema con coinvolgente espressività «sulla cura della casa comune».
Già il primo capitolo si conclude con un’osservazione teologica: «Se lo sguardo percorre le regioni del nostro pianeta, ci si accorge subito che l’umanità ha deluso l’attesa divina» (n. 61; Regno-doc. 23,2015,14), anche se il vero capitolo teologico è il secondo. Esso svolge il tema di una teologia ecologica, proponendo con forza l’idea di un Creatore. La teologia ecologica è espressa come «il Vangelo della creazione».
Il mondo esiste per l’atto creativo di Dio. Esso non è un cosiddetto «colpetto iniziale», secondo l’espressione usata dal deismo per descrivere l’inizio del divenire del mondo, ma è da intendere nella linea dell’immanenza della Trascendenza al mondo: l’atto creativo è genesiaco; inoltre è continuo per sostenere l’essere e il divenire del mondo; ed è aperto escatologicamente a un «destino di pienezza», espresso nella formula: «Dio tutto in tutti» (1Cor 15,28). Su questa dimensione si riconosce che ha portato il suo contributo il paleontologo francese Teilhard de Chardin. Forse, è la prima volta che il controverso scienziato è presente ufficialmente in un’enciclica.
Secondo la sapienzialità biblica, l’uomo è chiamato a «coltivare e custodire» il giardino del mondo (Gen 2,15). La discussione polemica è nei confronti dell’«antropologismo dispotico», o «antropologismo deviato» della modernità, che pratica il dominio sul mondo. Seguendo l’analisi (citata) di R. Guardini dell’antropologia moderna, i termini in gioco sono tre: Dio, uomo e mondo.
Dio assegna all’uomo la responsabilità della custodia del mondo. Se si toglie l’idea del Creatore, salta il giusto rapporto tra uomo e mondo, e la custodia si fa dominio. Dio è Signore «amante della vita» (Sap 11,26), che ci è reso presente nello «sguardo di Gesù» (nn. 96-100) verso la natura e il creato, come si manifesta in particolare nelle sue parabole. L’enciclica è un invito ad assumere lo «sguardo di Gesù» verso il mondo, per superare la logica del dominio nella pratica della cura.
Dal punto di vista filosofico, invece è il capitolo terzo che intende individuare la radice umana della crisi ecologica. Tale radice è individuata nell’«eccesso antropologico» dell’antropologia moderna, che coltiva «un sogno prometeico». «Invece l’interpretazione corretta dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile» (n. 116; Regno-doc. 23,2015,26).
Con il capitolo quarto, poi, vengono svolte alcune linee per un’ecologia integrale, che fa riferimento non solo all’ambiente, ma anche agli abitanti di questo ambiente, così l’ecologia ambientale, o ecologica, si fa anche ecologia sociale. «Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con se stessa, che genera un determinato modo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente». Solo così si realizza una «visione integrale e integrante» dell’ecologia (n. 141; Regno-doc. 23,2015,31), perché «non c’è ecologia senza una adeguata antropologia» (n. 118; Regno-doc. 23,2015,26).
© by Il Regno-Attualità 10/2016, 281-283
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