La rivista internazionale di teologia Concilium sta affrontando l’urgente tema della globalizzazione dai diversi punti di vista. Il fascicolo di Concilium 4/2001 (1 ottobre 2001) ha affrontato il tema di un’etica globale: Alla ricerca di valori universali; e nel prossimo fascicolo 5/2001 (data di pubblicazione: 1 dicembre 2001) affronterà il tema: La globalizzazione e le sue vittime, e porterà come documentazione la seguente Dichiarazione, siglata il 12 ottobre 2001 dal Comitato di Direzione della rivista Concilium, che anticipiamo nella rubrica Teologi@/Internet.
I quattro dirottamenti aerei, la distruzione del World Trade Center e l’attacco al Pentagono dell’11 settembre 2001 hanno provocato un profondo trauma in tutto il mondo. Questo sentimento è condiviso anche dai membri di Concilium, indipendentemente dalla misura in cui essi personalmente o i membri della loro famiglia sono stati toccati dal disastro. Siamo scossi per le seimila vittime, molte delle quali sono morte agonizzando. Partecipiamo al dolore dei feriti, dei sopravvissuti e di tutti coloro la cui speranza in un futuro migliore è stata distrutta. Ora, tuttavia, dopo un mese, il tempo dell’orrore ha lasciato il posto al tempo della riflessione. Di recente è stato detto ripetutamente che il mondo non è più lo stesso. È nostro compito far sì che questa affermazione non diventi un luogo comune vuoto o ingannevole.
Per oltre quarant’anni la rivista Concilium si è concepita come un’impresa teologica, con un orizzonte internazionale e i cui membri operano in tutte le parti del mondo. In verità, i due numeri più recenti della rivista sono stati dedicati alla questione dell’etica globale e anche al fenomeno ambivalente della globalizzazione. In vista dei fatti menzionati, come comunità globale di teologi/teologhe cattolici desideriamo richiamare l’attenzione sui seguenti punti:
1. Uomini e donne ispirati dalla loro fede cristiana sono interessati al ben-essere e alla salvezza del mondo e dei suoi abitanti contro tutte le forme di distruzione. Essi sono interessati agli atteggiamenti mentali e alle strutture che sono in grado di promuovere la giustizia o l’ingiustizia, che incoraggiano o il rispetto reciproco o il disprezzo violento di ciò che viene etichettato come “altro” rispetto al proprio gruppo. Essi sono coinvolti nell’edificazione di rapporti umani basati sull’uguaglianza e con l’obiettivo della pace e della riconciliazione. Soltanto se lavoriamo insieme su queste e altre questioni comuni e mondiali ci può essere speranza in un futuro migliore.
2. La catastrofe dell’11 settembre non dovrebbe nascondere le tragedie e le catastrofi silenziose che hanno luogo quotidianamente e senza che siano notate da quasi tutti i media mondiali in Africa, in Asia e in America Latina. Gli attacchi a New York e a Washington sono diventati un evento mediatico in cui finzione e realtà si sono drammaticamente fuse insieme, mentre allo stesso tempo decine di migliaia di persone vanno incontro ogni giorno alla morte ignorate dal mondo e presto dimenticate. Soltanto coloro che combattono contro questa dimenticanza unilaterale hanno il diritto a che il loro risentimento contro questa nuova forma di male – manifestata nella strumentalizzazione di un gruppo di innocenti passeggeri di aereo usato per uccidere un altro gruppo di civili innocenti – sia preso sul serio.
3. L’orrore provato per il terrore dovrebbe essere inteso come un desiderio di pace e deve essere convertito in iniziative concrete per la pace. A questo proposito non possiamo ignorare che la prosperità finanziaria e tecnica e il potere dell’Occidente sono stati raggiunti a un prezzo elevato. La povertà di numerose regioni del globo è tuttora inimmaginabile. I flussi politicamente non controllati di denaro che circolano in tutto il mondo svolgono spesso un ruolo destabilizzante in molti paesi. In non poche nazioni post-coloniali la repressione, o la corruzione dell’opposizione politica legittima, sono accettate dai maggiori centri e agenzie internazionali di potere, quali il Fondo monetario internazionale, nei loro rapporti d’affari con quei paesi. Ciò non va dimenticato nella situazione attuale. Il mondo può cambiare soltanto se questo duplice livello viene riconosciuto e quindi affrontato con uno sforzo prolungato per superare le realtà globali di disuguaglianza e di ingiustizia sociale.
4. Come in casi analoghi, anche questa volta in molti paesi dopo questi eventi orribili si è manifestata una chiara tendenza ad interpretare interi gruppi, persino popoli e culture, entro le categorie del Bene e del Male. Fare questo significa giustificare un meccanismo di vendetta cieca. Il male deve anche ora essere definito tale, e le circostanze politiche specifiche che si ritiene abbiano contribuito a questi episodi devono essere superate. Ma la separazione categoriale del mondo in Bene e Male è una tentazione pericolosa e del tutto inaccettabile, non importa da quale versante della divisione è fatta. In particolare dobbiamo sottolineare che, al pari di tutte le altre religioni, anche l’Islam condanna il terrorismo.
5. In una prospettiva globale, le religioni hanno un ruolo indispensabile da svolgere per il futuro dell’umanità. Tutte prospettano visioni di pace e di giustizia. Esse sono in grado, e anche in questo momento sono determinate, a nuotare contro la marea di odio e di violenza crescenti. Insieme a tutte le persone di buona volontà, esse scelgono il sentiero della giustizia e della riconciliazione prima di altre opzioni. Ciò nonostante, è un tragica realtà che le religioni abbiano permesso anche di essere strumentalizzate per obiettivi egoistici o dogmatici, per ideologie disumanizzanti e persino per lo sterminio. E tuttavia nelle sue radici autentiche, il concetto di monoteismo, dell’unico vero Dio, non è inteso a realizzare una separazione tra credenti e coloro che sono infedeli o nemici, ma a rivelare una visione di pace. Esso è orientato al riconoscimento di tutte le donne e gli uomini come membri della famiglia di Dio. Il compito dei teologi/teologhe e delle persone ispirate religiosamente è di smascherare qualsivoglia tendenza violenta o disumanizzante che possa esistere nelle loro tradizioni religiose. Essi inoltre devono collaborare con altre forze e movimenti agli sforzi per conseguire più pace e giustizia. In tal modo possono far sì che i moderni ostaggi dell’umanità – coloro che soffrono la fame e la violenza, l’espropriazione e l’esilio, la guerra civile e l’oppressione – possano essere gradualmente liberati dalle loro forme di prigionia.
6. Molti di noi, attraverso la nostra cooperazione internazionale, intercontinentale e sempre più interreligiosa, hanno vissuto esperienze positive e liberanti. Perciò facciamo appello a tutti i cristiani perché con tutti i mezzi di cui dispongono creino legami di solidarietà, di pace e di riconciliazione. Coloro che vivono nei paesi del benessere hanno un obbligo particolare di denunciare l’ingiustizia nel mondo, di protestare ad alta voce contro di essa e, un po’ alla volta, di superarla. In un tempo in cui il primo impulso dei governi è di concentrarsi soltanto sulla sicurezza dei propri sistemi politici, della propria economia e dei propri cittadini, i cristiani devono ricordare ai capi politici che i fondi per pagare queste misure straordinarie di sicurezza non devono essere deviati dalle modeste somme destinate a nutrire e a portare giustizia ai poveri e agli oppressi del mondo. Anziché soltanto campagne ispirate a miopi visioni, deve sorgere ora un movimento veramente globale, che unisca tra loro tutti i continenti e le varie culture, nella volontà di giustizia e di rispetto reciproco. Questo tipo di approccio offre l’unica opportunità concreta di superare il terrorismo presente e futuro e di favorire una sicurezza duratura.
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Editrice Queriniana, Brescia