È stata pubblicata in data 15 marzo 2007 (ma porta la data del 26 novembre 2006) la Notificazione della Congregazione per la dottrina della fede sulla cristologia di Jon Sobrino, edita in 2 volumi “Gesù Cristo liberatore” (1991), e “La fede in Gesù Cristo” (1999). I 2 volumi sono pubblicati anche in lingua italiana. L’autorevole Notificazione imputa, in sostanza, all’opera del teologo ispano-salvadoregno una non corretta metodologia in cristologia, e una non corretta esposizione della divinità di Gesù Cristo, secondo la dottrina della tradizione dogmatica della Chiesa. Insieme alla accoglienza del Documento vaticano, si tratta anche di cogliere l’intenzione dell’Autore e il suo progetto cristologico nella sua globalità, largamente noto e citato non solo in America Latina, ma anche in campo internazionale e in campo ecumenico. Per dare il senso di questo progetto cristologico, nel suo insieme, di Sobrino, ci permettiamo di citare questa ricostruzione del primo abbozzo cristologico di Jon Sobrino, pubblicato in data 1976-1977, con il titolo “Cristologia a partire dall’America Latina” (testo non tradotto in lingua italiana); e la citiamo dall’opera "La teologia del XX secolo", dove si espongono le linee essenziali di questo primo abbozzo di cristologia, si illustrano le tre intenzionalità dell’Autore, e si indica già il punto nevralgico della successiva discussione.
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L’abbozzo cristologico più elaborato nella prospettiva della teologia della liberazione è quello proposto dal teologo ispano-salvadoregno Jon Sobrino nella sua Cristologia a partire dall'America Latina. Abbozzo a partire dalla sequela del Gesù storico (1976-1977), che l'autore presenta come una cristologia ecclesiale, storica e trinitaria, e che ha trovato approfondimento nei saggi raccolti in Gesù in America Latina (1982).
Innanzitutto, a) una cristologia ecclesiale, nel senso che, in analogia con le cristologie del Nuovo Testamento, dove Cristo è pensato originariamente a partire dalla situazione e prassi delle prime comunità cristiane, essa intende riflettere la vita e la prassi della comunità ecclesiale in America Latina, e, insieme, rendere possibile e dar senso a questa vita e a questa prassi. In altre parole, è una riflessione cristologica intesa come atto secondo, che presuppone una ben determinata ubicazione ecclesiale e sociale — l'esperienza dell'incontro con Gesù nei poveri e una pratica di liberazione — che esigono un determinato uso dell'intelligenza teologica. Cristologia ecclesiale, dunque, nel senso ch'essa è contestualizzata dall'esperienza della chiesa dei poveri, cui vuole dare espressione e che vuole accompagnare nel suo cammino con la riflessione. Pertanto la cristologia della liberazione — come la chiama Sobrino — non pretende di essere tutta la cristologia e non è suo compito affrontare tutte le questioni storiche e sistematiche, ma essa ha la coscienza di rappresentare un punto di vista ermeneutico creativo e correttivo per tutta la riflessione cristologica; essendo contestualizzata «a partire dall'America Latina», essa urge una esigente ed ineludibile contestualizzazione a partire dalla sequela di Gesù: «La sequela di Gesù è il luogo primigenio di ogni epistemologia teologica cristiana».
Inoltre, b) una cristologia storica, che considera il Nuovo Testamento fondamentalmente come una storia e solo secondariamente come una dottrina e che arriva al Cristo della fede attraverso il Gesù della storia, e cioè attraverso la storia concreta di Gesù, considerata nella sua totalità, e dove acquista un ruolo particolare la sua prassi. In questo senso, la cristologia della liberazione si inserisce nel processo di storicizzazione dell'evento del Cristo, che è proprio della riflessione cristologica contemporanea, ma con modalità proprie. La cristologia della liberazione intende praticare una «reale storicizzazione» di Gesù, nel senso che il «Gesù storico», che rappresenta il suo punto di partenza, è inteso come «storia di Gesù».
La cristologia della liberazione, in quanto cristologia storica, è una cristologia dal basso, ma non precisamente nel senso della cristologia di Pannenberg, che ha teorizzato e praticato una cristologia dal basso, che parte non da formulazioni dogmatiche, ma dal fatto storico e nel contempo in-comparabile (con altri fatti storici) della risurrezione analizzata nella sua struttura prolettica, ma nel senso che parte dalla storia concreta di Gesù, considerata nella sua totalità, che include come momento decisivo la sua risurrezione, ma che rimanda, in ultima istanza, alla pratica di Gesù come servizio al regno: «Il più storico del Gesù storico è la sua pratica, e cioè, la sua attività per operare attivamente sulla realtà circostante e trasformarla in una direzione determinata e cercata, nella direzione del regno di Dio […]. Lo storico del Gesù storico è pertanto per noi, in primo luogo, un invito (e una esigenza) a proseguire la sua pratica; nel linguaggio dello stesso Gesù, alla sua sequela per una missione». Il ricupero del Gesù storico come storia di Gesù non allinea però la cristologia della liberazione alla teologia liberale, che era alla ricerca della vera «vita di Gesù»: la cristologia della liberazione è consapevole che le narrazioni del Nuovo Testamento sono narrazioni credenti che non permettono la ricostruzione di una biografia gesuana nel senso tecnico della storiografia moderna, ed inoltre, per la sua contestualizzazione ecclesiale, è ad essa del tutto estranea la contrapposizione liberale tra il Gesù della storia e il Cristo del dogma ecclesiastico. La cristologia della liberazione non è alla ricerca della vera «vita di Gesù» per criticare il dogma della chiesa; essa intende ricuperare la «storia di Gesù» in tutto il suo spessore storico per ricuperare il dogma cristologico come formula dossologica da verificare nella prassi. La cristologia della liberazione teologizza storicizzando, ma insieme, con un procedere dialettico sconosciuto alla teologia liberale e ad ogni gesuologia, storicizza teologizzando.
c) La cristologia della liberazione non è solo una cristologia storica, ma anche una cristologia trinitaria, dove il Padre è l'orizzonte ultimo, il Figlio l'esemplarità definitiva di come corrispondere al Padre, e la vita nello Spirito di Gesù è il concreto essere cristiani. Essa parte dal Gesù storico, ma lo inserisce nella totalità del mistero del Cristo e del Dio trinitario. È il movimento metodologico delle cristologie dal basso, che la cristologia della liberazione compie seguendo un suo tracciato di riflessione.
Gesù non annuncia se stesso, né semplicemente Dio, bensì il regno di Dio, e con la sua attività di liberazione si mette al servizio del regno e lo rende presente. Gesù è visto costantemente nella sua costitutiva relazionalità con il Padre e con il suo regno. La storia concreta di Gesù è un cammino verso il Padre ed è la versione storica della filiazione eterna del Figlio. Attraverso la sua storia, con la sua fede-fiducia nel Padre, con l'obbedienza alla sua missione, nella morte e nella risurrezione, Gesù «si va facendo, va diventando Figlio di Dio». È questa una delle formulazioni della Cristologia di Sobrino, che ha suscitato perplessità. Il teologo ne ha precisato successivamente il senso, affermando che questa formulazione non vuole debilitare per nulla la realtà ontologica della natura divina del Cristo, ma solo evidenziare come «si mostra a noi» la divinità del Cristo, la sua divina filiazione.
Ne consegue che confessare che Gesù è il Figlio di Dio pone in atto una storia di filiazione; la storia di Gesù pro-segue nella sequela di Gesù: «In questo senso il compito più urgente della cristologia, precisamente per l'affermazione dogmatica che Cristo è il Figlio di Dio, non consiste tanto nel re-interpretare in recto il dogma cristologico, la qual cosa continua ad essere un compito importante, ma nel ri-ubicare il cammino del credente perché la sua vita sia pro-seguimento di Gesù e così essa sia anche il processo della sua filiazione concreta».
In Gesù appare il vero cammino, il cammino al Padre, il cammino al Dio del regno. E il Dio del regno è il Dio della vita: un Dio che è il vivente e che dà la vita, a differenza degli idoli che danno morte. In America Latina è acuto il problema di delimitare il vero Dio dalle false divinità, la fede nel vero Dio dall'idolatria: se la teologia europea è confrontata soprattutto con il problema dell'ateismo, la teologia latino-americana della liberazione è confrontata con l'abuso, con la manipolazione del nome di Dio, con l'idolatria.
La sequela del cammino di Gesù diventa l'esigenza morale fondamentale, il paradigma generale dell'esistenza cristiana, della vita nello Spirito, ma «[…] strettamente parlando non c'è qui una concezione cristologica della sequela, bensì messianica». La sequela guarda a Gesù, in quanto predica e presentifica il regno: sequela di Gesù nel senso di «fare il regno». La prassi si fa espressione di ortodossia concreta, si fa verifica dell'ortodossia e della dossologia: «La globalità dell'esistenza cristiana può essere descritta come sequela di Gesù, in quanto realtà più ampia e primigenia che non il culto e l'ortodossia, non nel senso che si opponga ad esse, ma nel senso che le integra e le cristallizza».
In sintesi, le principali caratteristiche della cristologia della liberazione sono: a) la sottolineatura della dimensione storica della salvezza portata da Cristo: la salvezza escatologica passa attraverso liberazioni storiche, anche se non può identificarsi con esse; b) l'insistenza sulla sequela di Gesù, che mette in atto una ermeneutica prassica, che interpreta non tanto per comprendere (funzione che rimane pur sempre necessaria e importante), ma soprattutto per praticare: cristologia della liberazione come cristologia della sequela; e finalmente, c) l'uso di un «sospetto epistemologico», che intende reagire a diverse scorrette presentazioni del Cristo, che possono facilmente prestarsi ad un uso ideologico da parte dei detentori del potere in America Latina, in particolare: al Cristo ridotto a «sublime astrazione», al Cristo presentato adialetticamente come «riconciliazione universale», alla «assolutizzazione del Cristo» dove va perduta la costitutiva relazionalità di Gesù al regno di Dio, al Cristo vincitore delle cristologie del dominio, o al Cristo vinto delle cristologie della rassegnazione: «Il Cristo astratto, il Cristo imparziale e il Cristo potente sono i simboli religiosi, di cui hanno bisogno e che usano, coscientemente o incoscientemente, i potenti per mantenere il nostro continente nella sua situazione attuale»; «[…] l'immagine di un Gesù liberatore è ben diversa dal Cristo monarca celeste della pietà dogmatica ufficiale, o dal Cristo vinto e sofferente della pietà popolare».
Dall’opera
La teologia del XX secolo
di Rosino Gibellini
Queriniana, Brescia 1992, 2007 6° edizione attualizzata
© 2007 by Teologi@Internet
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
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