Nel dicembre 1932 un giovane Dietrich Bonhoeffer tenne una conferenza su «Cristo e la pace», nel contesto del gruppo di lavoro ecumenico della Deutsche Christliche Studentenvereinigung, l’Associazione cristiano-tedesca degli studenti. Abbiamo traccia di quella conferenza grazie agli appunti presi in quell’occasione da Jürgen Winterhager, uno degli studenti di Bonhoeffer del gruppo di Berlino, futuro teologo evangelico e docente di ecumenismo. Il materiale è stato poi riprodotto all’interno della raccolta dell’Opera omnia di Bonhoeffer, per l’Italia in Scritti scelti (1918-1933). Volentieri riproponiamo qui di seguito, per i lettori e le lettrici del nostro blog, questa preziosa riflessione all’insegna del discorso della montagna, fra promessa delle beatitudini e comandamento dell’amore: «Per chi lo legge con animo semplice, il discorso della montagna dice cose assolutamente inequivocabili».
Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. Ma il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Mt 22,37-39).
Le autorità umane, che hanno cercato di stabilire la pace su una base politica, ora hanno fatto di nuovo naufragio[1]. E sarebbe bene rifletterci sopra e non trovare questo fatto troppo straordinario, perché le istanze terrene sono pur sempre prodotte da esseri umani e non hanno quindi un’autorità assoluta.
Esiste una sola, unica autorità che ha parlato in modo vincolante su questi problemi, e si tratta di Gesù Cristo.
Cristo, in realtà, non ha dato delle regole di condotta per tutte le singole complicate situazioni che si presentano nella vita delle persone, sul piano politico, economico o quant’altro. Ma ciò non significa che il messaggio di Gesù Cristo non dica niente di chiaro sui problemi che stanno davanti a noi. Per chi lo legge con animo semplice, il discorso della montagna dice cose assolutamente inequivocabili.
Qui vogliamo partire dal punto centrale del Nuovo Testamento, e quindi leggere questi problemi alla luce del comandamento più nobile e più alto e di ciò che il Signore ha annunciato a questo proposito. Non vogliamo strappare via una sola parola sulle autorità terrene da tutto il contesto del Nuovo Testamento (cfr. Rm 13,1), e quindi nasconderci che Cristo ha predicato il regno di Dio, contro il quale tutto il mondo – e anche l’autorità – vive in inimicizia.
Permettetemi di approfondire innanzitutto alcuni punti che spesso e volentieri danno luogo a fraintendimenti.
1.
Per Cristo ciò che importa non è cambiare le condizioni di questo mondo per amore della sicurezza e della tranquillità. Ancora di meno dobbiamo credere di poter eliminare con dei trattati politici quel peccato pubblico che sono gli orrori della guerra. Finché il mondo farà a meno di Dio, le guerre ci saranno.
Per Cristo è molto più importante che noi amiamo Dio, che noi ci poniamo a quella sequela di Gesù alla quale siamo chiamati con la promessa delle beatitudini (Mt 5,3-12), e che, così facendo, siamo testimoni della pace.
Questa sequela di Cristo proviene e si basa totalmente su una fede semplice e, viceversa, anche la fede è autentica soltanto nella sequela. Così dunque la testimonianza di pace di Cristo si rivolge a chi ha fede, mentre il mondo ne è giudicato. Ma la fede deve essere una fede semplice, altrimenti diventa riflessione, non obbedienza; altrimenti anche la sinistra sa quello che fa la destra, e non c’è sequela là dove si conosce il bene e il male. Ed è solo in una sequela siffatta che noi assumiamo anche la posizione giusta verso coloro che hanno sacrificato la vita in guerra.
Non ci sono dunque possibilità umane di stabilire la pace, di organizzarla. Anzi, un simile tentativo umano per vie politiche può proprio rappresentare un’altra volta il dominio di un autocrate, può essere peccato. Non esiste una pace assicurata. Il cristiano può soltanto osare la pace a partire dalla fede. Non esiste dunque alcun affratellamento diretto fra gli esseri umani, vi è solo il farsi incontro al nemico mediante la preghiera rivolta al Signore da tutti i popoli.
2.
Al contrario, il rapporto tra legge e vangelo viene spesso frainteso. Il vangelo viene inteso come un messaggio di remissione dei peccati che non tocca l’esistenza civile, più in genere tutta l’esistenza terrena, dell’essere umano. È vero che viene ancora comunicato all’uomo che è un peccatore, ma questi non viene chiamato a uscire dal peccato e dai legami col peccato. Come possiamo noi, che non percorriamo la via dell’obbedienza, quando pecchiamo sperando nella grazia, come possiamo prendere ancora sul serio la grazia della remissione dei peccati e in generale la preghiera a Dio, e credere in lui con cuore puro? Noi rendiamo la grazia un oggetto a buon mercato[2], dimentichiamo con la giustificazione del peccatore mediante la croce di Cristo quel grido del Signore, che mai giustifica il peccato. Il comandamento: «Non uccidere» (Es 20,13); la parola: «Amate i vostri nemici» (Mt 5,44), ci è data per essere obbedita con semplicità. Al cristiano è proibito qualsivoglia servizio militare, sia pure il servizio volontario e qualunque preparativo bellico. La fede che vede la libertà dalla legge nel disporre della legge a proprio piacimento è una fede umana e una sfida a Dio. L’obbedienza semplice non sa del bene e del male: essa vive nella sequela di Cristo e compie le opere come un qualcosa che va da sé.
3.
A noi cristiani è rivolta la parola secondo il comandamento dell’amore innanzitutto al fine che noi si sia personalmente in pace con chiunque, come anche Cristo quando predicava la pace alla comunità, esemplificando la pace con il fratello, con il prossimo, con il samaritano. Senza essere noi stessi in questa pace, non siamo in grado di predicare la pace ai popoli. E la maggior parte della gente che si arrabbia quando sente parlare di pace tra i popoli mette già in discussione l’amore per i nemici nei confronti del proprio nemico personale. Quando noi dunque dovremo parlare delle cose relative alla pace, terremo sempre presente che le relazioni tra due popoli hanno una profonda analogia con le relazioni tra due singole persone. Le cose che si contrappongono alla pace sono, su tutti e due i piani, brama di potere, orgoglio, desiderio di gloria e di onore, presunzione e senso di inferiorità, paura delle persone, e poi lotta per lo spazio vitale[3] e per il pane. Orbene, ciò che è peccato nei singoli individui non è mai e poi mai virtù per un popolo. Ciò che è annunciato come vangelo alla chiesa, alla comunità e quindi ai singoli cristiani, è detto al mondo come giudizio. Ma quando un popolo non vuole ascoltare questo comandamento, allora i cristiani sono chiamati fuori da quel popolo in qualità di testimoni. Facciamo attenzione al fatto che noi miseri peccatori annunciamo la pace a partire dall’amore, non per perseguire la sicurezza o uno scopo politico.
4.
Pace con chi? La pace autentica è solo in Dio e da Dio. Questa pace ci è donata con Cristo, vale a dire: la pace è legata indissolubilmente al vangelo. La pace quindi non può mai consistere nella conciliazione del vangelo con concezioni religiose del mondo. Così dice Gesù: «Non sono venuto a portare la pace, ma la spada» (Mt 10,34). Per colui che è pentito, per il peccatore che è uscito di strada, vale la remissione del peccato: dobbiamo amarlo, non giudicarlo. Per il peccatore che si ostina, il comandamento diventa giudizio. Ma con il peccato, come con la falsa dottrina, non c’è riconciliazione. Nella lotta dell’evangelo con questi poteri terreni il cristiano viene separato dal padre e dalla madre. La lotta del cristiano è dunque una lotta per la causa. Ma, nel conflitto con il nemico del vangelo, le armi sono la fede e l’amore che vengono purificati nella sofferenza. Quanto più nella lotta per beni puramente terreni!
[traduzione dal tedesco di A. Laldi]
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[1]Se qui Bonhoeffer si dovesse riferire all’andamento fallimentare della Conferenza per il disarmo tenutasi a Ginevra nell’estate 1932, la datazione del presente discorso dovrebbe essere riveduta. Ricordiamo che la Conferenza cercò di evitare una seconda guerra in Europa negoziando la riduzione degli armamenti fra i vari stati; nell’ottobre del 1933, però, Hitler respinse tale tentativo ritirando dalla Conferenza la delegazione tedesca (e, contemporaneamente, dalla Società delle Nazioni).
[2]Il tema della grazia a buon mercato e della grazia a caro prezzo anticipa qui una delle intuizioni che verranno poi sviluppate da Bonhoeffer qualche anno dopo, nel seminario clandestino di Finkenwalde. Cfr. D. Bonhoeffer, Sequela, Querinana, Brescia 20012, 27-41.
[3]La propaganda nazista fece ampio ricorso al concetto di “spazio vitale” (Lebensraum) per legittimare l’espansione del Terzo Reich a est.