20/11/2009
147. Continente di opportunità di Stephan Neumann (della Redazione di Christ in der Genenwart, Freiburg, Germania)
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Nelle tre settimane del sinodo, tenuto in Vaticano, la Chiesa cattolica africana si è mostrata consapevole di sé e autocritica. Che l’Africa non sia percepita come continente dalle molte opportunità dipende soprattutto dalla carente qualità della direzione nella politica, nella società, ma anche nella Chiesa.


Per tre settimane più di duecento vescovi africani, insieme con rappresentanti della Curia, si sono riuniti in Vaticano. Il tema: “La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. I risultati sono stati alla fine compendiati in 57 tesi. I vescovi vogliono - così si afferma tra le altre cose - rafforzare la democrazia e combattere la corruzione, approfondire il dialogo con l’islam e le religioni africane tradizionali e organizzare in modo più professionale la pastorale per i malati di Aids. Sulla base di questi risultati papa Benedetto XVI elaborerà, con la segreteria del sinodo, il documento conclusivo.

In Vaticano sembra che attualmente si guardi volentieri all’Africa, in quanto qui il numero dei cattolici cresce notevolmente rispetto al resto del mondo. Nel 1900 appartenevano alla chiesa cattolica 1,9 milioni di africani, nel 1994 erano già 102,8 milioni (il 14,6%) e nel 2007, stando a indicazioni vaticane, erano 164,9 milioni, cioè il 17,5% degli abitanti del continente. L’incremento del numero in assoluto è, in gran parte, da spiegare con l’aumento della popolazione. La crescita in percentuale però indica che la chiesa, per lo meno in alcune parti del continente, ha forza d’attrazione anche per i non cristiani.


Bibbie per il popolo

Nei 48 paesi dell’Africa la situazione della chiesa appare estremamente differenziata. A Nord del Sahara esistevano fin dal primo secolo delle comunità cristiane. Con la diffusione dell’islam, a partire dall’VIII secolo, il cristianesimo venne fortemente soffocato, tanto che i cristiani rappresentano oggi in quell’area una minoranza. In Somalia si professa oggi cristiano solo lo 0,1 per mille. Nel Sud dell’Africa solo dal XVI secolo si avviarono - con scarso successo – tentativi di evangelizzazione da parte degli europei. Una seconda ondata – con maggior successo – seguì nel XIX secolo. La chiesa è impegnata in Africa soprattutto nel campo della formazione e della sanità, con più di 16.000 centri sanitari e quasi 10.000 scuole.

La costante tendenza verso comunità evangelicali e chiese libere potrebbe però, in futuro, rallentare la crescita della chiesa cattolica, come teme il vescovo mozambicano Adriano Langa. Egli vede il motivo della capacità d’attrazione dei movimenti pentecostali e delle cosiddette chiese indipendenti soprattutto nei ritardi della chiesa cattolica nell’ambito della inculturazione e della evangelizzazione. Ad esempio, la lettura stessa della Bibbia è stata nel recente passato proibita al popolo. Ci sono troppo poche traduzioni della Bibbia nelle lingue native e alla gente è negata la possibilità di esprimersi in modo corrispondente alle loro radici nella liturgia e nelle preghiere. Poiché perfino molti cristiani continuano a seguire riti tradizionali, secondo il parere del vescovo dello Zanzibar, Augustine Shao, è necessario un serio dialogo con le religioni africane tradizionali. Se viene a mancare lo scambio con le radici culturali originarie, i cristiani sono scoraggiati a parlare della loro fede effettiva. Il risultato: persone che alla domenica si presentano come cristiani praticano negli altri giorni della settimana le loro religioni tradizionali.

In Europa l’Africa viene percepita per lo più non come continente cristiano, ma piuttosto come terra di catastrofi naturali, di fame, di despoti corrotti, e anche come terra delle guerre tribali e civili. L’Africa è in effetti un’area di povertà, di indigenza e di guerre, come ha ammesso il cardinale del Gana, Peter Kodwo Appiah Turkson, in qualità di relatore del sinodo sull’Africa, già nella sua relazione di apertura. L’Africa è però anche un continente di grandi opportunità. Chi non cede ai pregiudizi sommari, spesso diffusi nei media, potrebbe constatare che la democrazia diventa più forte e la sensibilità culturale e politica va crescendo.


Un sinodo politico

Un esempio di ciò è la Tanzania. All’interno di una democrazia stabile, con elezioni regolari, il governo ha investito in formazione e infrastrutture e ha sostenuto la nascita di media indipendenti. A questo sviluppo ha partecipato la chiesa, consapevole della propria importanza, sebbene tra i 40 milioni di abitanti della Tanzania i cristiani formino solamente la terza maggiore comunità religiosa, dopo i seguaci delle religioni africane tradizionali e dell’islam. Il fatto che i vescovi, dopo il primo sinodo sull’Africa nel 1994, abbiano introdotto la dottrina sociale della chiesa nel dibattito politico è stato “un vero e proprio shock”, ha riferito l’arcivescovo Norbert Mtega, di Songea. Tuttavia, nel frattempo essa è stata compresa anche all’interno del governo: “La dottrina sociale della chiesa fornisce luce per il futuro del paese e per la stessa politica”.

Una chiesa, il cui messaggio ha effetti politici, senza invischiarsi nei torbidi della quotidianità politica come un attore tra molti altri – questo ideale diventa evidente anche nelle 57 tesi conclusive del secondo sinodo sull’Africa. Soprattutto – secondo quanto è finora filtrato all’esterno dai lavori di gruppo - il baricentro di questo sinodo sono state meno le questioni liturgiche e pastorali, e al centro delle discussioni sono arrivati piuttosto i compiti sociali e politici della chiesa nel continente. Di conseguenza la chiesa vuole rafforzare nel continente la democrazia e familiarizzare i politici con i principi di una votazione corretta e trasparente. Il tema del sinodo “Riconciliazione, giustizia, pace” è così una visione che deve essere vissuta concretamente nel quotidiano, se vuole diventare realtà. Sul dove collocarsi in questo processo ci sono state opinioni differenti. Turkson, il relatore del sinodo, ha richiamato l’attenzione sul fatto che i conflitti bellici sono diminuiti e che, al momento, si trovano in guerra solo quattro dei 48 stati africani.


L’arcivescovo di Kinshasa, Laurent Monsengwo Pasinya, ha invece delineato un quadro fosco. Rispetto al primo sinodo ci sarebbero oggi guerre più assassine. “Al momento abbiamo molti soldati-bambini e una violenza raccapricciante contro le donne, donne e bambini usati come armi di guerra - cose che quindici anni fa non si vedevano… Se non ci riesce il grande progetto della riconciliazione, l’Africa va incontro al suo tramonto”, profetizzò l’arcivescovo della capitale della cosiddetta repubblica democratica del Kongo.

In modo analogamente drammatico si presenta la situazione nel Sudan, dove alcuni vescovi temono una spaccatura del paese in un Nord islamico e un Sud in prevalenza cristiano. Ma anche qui il tipo di violenza è mutato, come ha sottolineato il cardinale Gabriel Zubeir Wako. Se prima i conflitti tra differenti tribù, sfruttati dalla politica, avevano per lo più uno scopo, ad esempio l’accesso ad acqua e pascoli, oggi bande guerriere massacrerebbero persone a caso. “Sono massacri, è un uccidere privo di scopo. E le vittime, più che uomini sono bambini e donne”, ha detto l’arcivescovo della capitale Khartum.

Di fronte a tale brutalità è ancora possibile una riconciliazione? Ciò che la riconciliazione significa, ciò che viene chiesto alle vittime e ai criminali, perché possano guardarsi negli occhi, lo ha evidenziato la relazione di suor Geneviève Uwamariya, del Ruanda. I suoi genitori furono tra le 800.000 persone la cui vita venne spenta nel 1994 nel giro di solo 100 giorni. “Io sono sfuggita al genocidio in Ruanda”, ha riferito la religiosa. “Ciò che in seguito mi ha agitato nell’intimo furono la vendetta e l’odio contro coloro che avevano ucciso i miei genitori e portato via altri membri della famiglia”. Tuttavia, suor Geneviève ha superato il suo odio e ha seguito un invito alla riconciliazione nelle carceri ruandesi. “Così ho incontrato anche coloro che avevano ucciso i miei genitori. Essi mi hanno raccontato dei particolari, ad esempio come mio padre era vestito quando lo uccisero. E d’un tratto ho sentito come tutto questo peso mi lasciava”. Quando l’uomo gridò: “Mi perdoni”, lei si è gettata piangendo tra le sue braccia. La religiosa chiese ai prigionieri di scrivere, attraverso delle lettere, la verità ai famigliari delle loro vittime. “A poco a poco ho ricevuto più di 600 lettere. E di nuovo mi sorprese una cosa: le vittime della violenza rispondevano agli assassini. Molti si sono così anche incontrati. E fu cosa fantastica”.


Abuso di potere nella chiesa

Anche alcuni rappresentanti della chiesa hanno partecipato agli assassinii. Di recente a Firenze fu arrestato un sacerdote ruandese che deve aver preso parte nel 1994 ad un massacro di 80 alunni di una scuola. L’imputato, contro il quale esiste un mandato di cattura internazionale, aveva respinto già in maggio simili accuse di una organizzazione africana per i diritti dell’uomo. Il cardinale Polycarp Pengo, presidente della unione delle conferenze episcopali africane (SECAM), si mostrò sconvolto per il fatto che alcuni religiosi cattolici siano stati accusati e trovati colpevoli di aver partecipato a conflitti violenti. Abuso di potere, mentalità tribale e etnocentrismo dovrebbero essere, nella chiesa, riconosciuti apertamente, così ha sostenuto l’arcivescovo di Dar es Salam, in Tanzania.

Il fatto che in Sudafrica continuino ad esserci tensioni anche tra candidati al presbiterato bianchi e neri mostra quanto sia difficile, all’interno della chiesa, vivere la riconciliazione. Anche una giusta retribuzione nella chiesa e pure la condivisione con i poveri sembrano essere troppo spesso negate. “E’ uno scandalo che persone al servizio delle comunità parrocchiali, le quali prestano umilmente il loro servizio, alla fine del mese portino a casa solo acqua benedetta”, ha detto il cardinale Francis Arinze. L’ex prefetto della congregazione vaticana per il culto ha chiesto che la colletta vada a beneficio non solo del presbitero, ma anche dei poveri.

Inoltre, deve crescere la partecipazione delle donne negli organismi ecclesiali anche a livelli superiori. In molti contributi è divenuto chiaro che le donne continuano a restare ai margini della società, e nelle guerre, ma anche nel matrimonio, sono esposte a violenza sessuale, sono sospettate di stregoneria e uccise brutalmente o costrette con la forza a sposarsi. Non di rado le donne sono costrette a vivere in più matrimoni. Il vescovo del Gana, Matthew Kwasi Gyamfi, ha proposto che le donne che senza loro colpa sono finite in rapporti poligami possano, a determinate condizioni, essere ammesse ai sacramenti.

L’apertura e l’atteggiamento autocritico in queste affermazioni possono, anzi devono essere considerati un primo passo per eliminare uno dei maggiori ostacoli per uno sviluppo autonomo: la mancanza di responsabilità nella direzione. Su questo problema di fondo aveva richiamato l’attenzione, prima dell’inizio del sinodo in Herder Korrespondenz (Settembre), Wolfgang Schonecke che per decenni ha operato in Africa per il suo ordine religioso di missionari per l’Africa (Padri bianchi). Per cambiare qualcosa, egli si pronuncia, alludendo agli ex-alunni cattolici e oggi despoti corrotti Laurent-Désiré Cabila (Kongo) e Robert Mugabe (Zimbabwe), per un nuovo orientamento delle istituzioni formative cattoliche. Infatti, “le scuole cattoliche in Africa mirano in realtà a ottenere i migliori risultati accademici, ma hanno a quanto pare rinunciato a instillare nella generazione giovane un senso per la responsabilità sociale che sia forte abbastanza per resistere alla pressione del proprio clan e della dominante cultura di corruzione”. Una chiesa autocritica e consapevole di sé potrebbe sviluppare una visione del buon uso del potere. “Guida creativa, capace di orientare al futuro significa… sviluppare, a partire dai valori della tradizione africana, dalle conquiste della cultura occidentale e dal messaggio del vangelo, forme di vita e di società moderne, africane, cristiane”, così ha sostenuto Schonecke.

Per far questo è necessario un dialogo profondo con l’islam e con le altre religioni, come hanno scritto i vescovi africani nella loro relazione conclusiva. I conflitti tra tribù e religioni, infatti, vengono spesso attizzati e sfruttati dai potenti per imporre i loro interessi personali, per lo più politici e economici. Lo ha sottolineato l’arcivescovo nigeriano Matthew Manoso Ndagoso, nella sua recente visita in Germania. Perciò va creata una “atmosfera di riconciliazione e di dialogo”, nella quale i rappresentanti delle religioni si possano incontrare e divenga possibile una convivenza pacifica.

Nel Sudan o in Somalia un simile approccio può oggi apparire completamente utopico. Tuttavia, il sinodo sull’Africa ha mostrato quanto sia differenziata la situazione delle persone e quanto diverse si presentino le singole religioni. Alla violenza in Sudan, ad esempio, si contrappongono esperienze di collaborazione islamo-cristiana nella Caritas della Mauritania. Il vescovo dell’unica diocesi della Mauritania, Martin Happe, originario della Vestfalia, ha riferito che, dei 120 collaboratori della Caritas, 110 sono musulmani. Essi hanno dichiarato per iscritto, come tutti i collaboratori dell’opera assistenziale cattolica, di prestare uguale attenzione a tutti coloro che versano nel bisogno, senza riguardo per la loro appartenenza etnica o religiosa. In una diocesi che è grande tre volte la Germania e nella quale addirittura 4000 persone – in gran parte stranieri – sono cristiani, la cooperazione con i musulmani sarebbe il compito della missione caritativa della chiesa.


Arroganza della fortezza Europa

Nel sinodo i problemi dei paesi e della chiesa sono stati affrontati con chiarezza, ed è stata altrettanto chiara la volontà di iniziativa. Affinché il continente della miseria si evolva trasformandosi in un continente della speranza e delle opportunità le persone in Africa hanno bisogno della solidarietà della chiesa universale, ma anche dell’aiuto dei paesi ricchi. La percezione, infatti, che una carente responsabilità nella direzione, da parte di chi detiene il potere in Africa, rappresenta un problema centrale, non può “servire da alibi per la responsabilità dei paesi industrializzati che, con una politica commerciale scorretta, con un brutale sfruttamento delle risorse, con l’inquinamento del clima, con il commercio delle armi e con l’appoggio ai regimi corrotti, hanno una formidabile corresponsabilità nella colpa per il sottosviluppo del continente”, come ha dichiarato Wolfgang Schonecke.

Non pochi vescovi africani hanno criticato la politica dei profughi e la politica commerciale di una fortezza Europa che si chiude su se stessa, ma anche l’arroganza europea nei confronti dell’Africa e la mancanza di rispetto verso la sua gente. La quasi totale assenza di informazione sul sinodo nei media europei sembra confermare questa ignoranza europea. L’analisi autocritica delle strutture sociali e anche ecclesiali in Africa dovrebbe, qui da noi, offrire l’occasione per una riflessione altrettanto critica da parte delle strutture di potere economiche e politiche, come pure di una chiesa che promuove sì ogni sorta di influssi europei, ma che continua ad avere difficoltà a prendere sul serio le radici culturali degli altri.

Il relatore del sinodo, Peter Kodwo Appiah Turkson, che è stato chiamato dal papa ad essere il futuro presidente del Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace, può utilizzare il suo nuovo – universale – influsso per sollecitare una nuova qualità nella direzione sia nello stato sia nella chiesa. Nel suo messaggio di conclusione papa Benedetto XVI ha detto: “Rialzati, chiesa che sei in Africa, famiglia di Dio, e impegnati per la nuova evangelizzazione, per la riconciliazione, per la pace al di là di tutti i confini religiosi, etnici, linguistici, culturali, sociali. In questa difficile missione non sei sola – tutta la chiesa cattolica ti è vicina”.



Sul tema:




Rosino Gibellini (ed.)
Percorsi di teologia africana
Giornale di teologia 226






Bénézet Bujo
Teologia africana nel suo contesto sociale
Giornale di teologia 185








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(Christ in der Gegenwart n. 44/2009, Freiburg i.B., Germania)
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Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
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