01/07/2025
586. COME SARA' IL FUTURO DELLA CHIESA? di Walter Kasper
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Walter Kasper è una figura centrale e di rilievo per la chiesa del XX secolo, teologo cardinale e consigliere di diversi papi. Il prelato, oggi 92enne, ha appena dato alle stampe un libro autobiografico, nel quale traccia il proprio percorso di servizio, tra fede vissuta e teologia pensata. Tra le altre cose, si pronuncia anche a favore del diaconato femminile. Riportiamo di seguito la traduzione di una sua intervista, rilasciata a Lothar Schröder e apparsa sul Rheinische Post del 22 giugno.


 

Nel suo nuovo libro “La mia vita per la chiesa e la teologia”, lei scrive che, secondo il suo modo di vedere, i teologi dovrebbero guardare la gente negli occhi. La teologia è forse troppo astratta, un “gioco” per soli esperti?

Naturalmente la teologia non è una questione per soli esperti. Al contrario, la teologia si occupa delle questioni fondamentali della vita umana. Per questo motivo, per me il legame tra scienza teologica e pratica pastorale è sempre stato scontato. Naturalmente, la teologia comprende anche il dialogo con le scienze moderne, per le quali non bastano risposte troppo scontate.


C'è qualcosa nella sua Chiesa che la demoralizza? Che tracce ha lasciato lo scandalo degli abusi nella sua fede nella Chiesa e nel ministero sacerdotale?

Lo scandalo degli abusi ha senza dubbio fatto perdere alla Chiesa molta credibilità e fiducia. Ma i giudizi generici sono sempre ingiusti e sbagliati. Tutti sanno, o possono sapere, che nella Chiesa ci sono moltissimi preti e religiosi che fanno molto bene con grande impegno personale. Senza la loro esperienza e il loro esempio, io stesso non mi sarei mai fatto prete. Non ho quindi perso la fiducia nella Chiesa, ma so che c'è ancora molto da fare per fare luce sui vecchi abusi, prevenirli il più possibile e prendersi cura delle vittime di tali abusi per guarire, con tutte le forze, i traumi che hanno subito.
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Lei ha accompagnato il Cammino sinodale in Germania con commenti decisamente critici. Cosa non funziona e cosa, secondo lei, potrebbe emergere di utile e salutare da questo processo di riforma per la Chiesa nel suo complesso?

La Chiesa ha sempre bisogno di riforme e rinnovamento. Ne ha bisogno anche oggi. Ma occorre distinguere tra riforme vere, che provengono dallo spirito del Vangelo e portano a una maggiore unità, e riforme false, che si adattano al mondo e portano a delle divisioni. È quindi necessario fare discernimento e rispettare la connessione tra rinnovamento spirituale e riforme strutturali. Sinodalità significa camminare insieme verso il rinnovamento dal Vangelo; per questo la “base”, cioè i cristiani “normali” che partecipano alla vita della Chiesa, devono essere attivamente coinvolti nel cammino sinodale. Ciò deve avvenire in contatto con le Chiese locali e con la Chiesa universale, in particolare con Roma. Mi è parso che non si tenesse conto di ciò a sufficienza nel cammino sinodale tedesco, tanto da dare l'impressione di un percorso autonomo e speciale della Germania. Per questo mi sono permesso di porre alcune domande.


Il principio del futuro della Chiesa cattolica sarà una sorta di sinodalità coltivata?

Senza dubbio la sinodalità è essenziale per il futuro della Chiesa. Ma non è “il” principio del futuro. È il cammino storico della Chiesa, che deve essere visto e affrontato nel contesto dell'annuncio del Vangelo, della Sacra Scrittura e della tradizione della Chiesa, della vita sacramentale della Chiesa, delle opere di carità e di giustizia, nonché della struttura e dell'ordine della Chiesa voluti da Gesù Cristo. 


In diversi punti del suo libro lei sostiene il diaconato permanente delle donne nella Chiesa. È giunto il momento? E un tale diaconato non apre a lungo termine anche tutti gli altri ministeri ordinati alle donne?

Personalmente ritengo che l'apertura del diaconato permanente alle donne sia teologicamente possibile e pastoralmente utile. Naturalmente so che su questa questione non c'è ancora consenso. Non spetta a me decidere se e quando sarà giunto il momento. Come suggerisce la parola stessa, dal diaconato permanente non si accede automaticamente al presbiterato e all'episcopato. Esiste una differenza fondamentale tra il diaconato e gli altri due ministeri ordinati, in quanto il diaconato, a differenza degli altri due, non rappresenta Cristo come capo della Chiesa. Non esiste alcun fondamento nella tradizione della Chiesa per un'apertura alle donne. Non c'è quindi da preoccuparsi che l'apertura alle donne possa sfuggire di mano.


Per andare al sodo: ritiene ipotizzabile, in un futuro lontano, anche una papessa?

Onestamente, questa è una domanda che va oltre la mia immaginazione. Poiché il papa ha la primazia come vescovo di Roma, una risposta positiva presupporrebbe che le donne abbiano accesso al ministero episcopale, cosa che, secondo quanto appena detto, non è possibile.


Per l'ecumenismo lei sottolinea che deve essere possibile un'unità nella diversità. Sarebbe questa una prospettiva anche per la Chiesa cattolica universale, in cui alle Chiese locali viene concesso un maggiore margine di manovra? Naturalmente non su questioni fondamentali come i sacramenti. Ma sulla questione del celibato, per esempio?

La questione di un possibile maggiore margine di manovra per le Chiese locali è già stata risolta positivamente da Papa Francesco nella sua prima enciclica Evangelii gaudium del 2013, in cui ha parlato di una legittima decentralizzazione. La questione del celibato rientra in questo contesto, in quanto le Chiese di tradizione orientale, che sono in piena comunione con Roma, prescrivono il celibato per i vescovi, ma non per i presbiteri. L'unità nella diversità è quindi fondamentalmente possibile.


Lei scrive che non teme una Chiesa di diaspora. Da dove viene questo coraggio?

Coraggio non significa che desidero che le Chiese locali nelle nostre regioni diventino Chiese di diaspora. Al contrario! L'audacia deriva dal fatto che la Chiesa primitiva era una Chiesa di diaspora molto piccola eppure ha avuto la forza di diventare una Chiesa universale. Anche oggi non solo in altri continenti, ma anche nel nord dell'Europa esistono diaspore, cioè Chiese estremamente minoritarie che sono tuttavia vivaci e missionarie. Una minoranza vivace può, in determinate circostanze, essere più influente di una maggioranza compiaciuta e addormentata.


In sintesi: quale bilancio farebbe dopo tanti anni come teologo, presbitero, vescovo e cardinale? Oltre al motto episcopale, ha anche un motto di vita?

Il mio motto è sempre stato: “Una nuova vita in Cristo”.



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