Negli anni Novanta del secolo scorso, usciva per i tipi di Queriniana un volumetto del teologo tedesco Heinrich Fries, dal titolo: Di fronte alla decisione. Le chiese diventano superflue? Da quel libro – che costituì un lucido e stimolante esame di coscienza per la chiesa e le comunità cristiane nel passaggio del Duemila – proponiamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori il capitolo finale, a supporto della riflessione continua su queste tematiche, oggi al centro del Sinodo dei vescovi in corso a Roma.
Essere nel mondo, non del mondo
Una chiesa che non vuol essere superflua deve essere viva e presente. Bisogna poterla percepire e riconoscere – anche nella sua forma attuale e concreta, nella sua struttura e rappresentazione – come chiesa mondiale e prima ancora come chiesa locale. Deve essere credibile e amica delle persone nella sua azione e nel suo comportamento. La sua esistenza deve essere un’esistenza per altri. Deve spiegare con chiarezza che ha un messaggio, un orientamento e un senso da offrire agli esseri umani.
Tale messaggio va nello stesso tempo comunicato in maniera tale da non rappresentare una ripetizione o un doppione di quanto già si conosce, si sa e si cerca di vivere. In esso deve essere dischiusa una nuova dimensione, in cui l’umano trova e riconosce se stesso, in dimensioni che superano quanto si verifica nella vita quotidiana.
Nel suo essere e nel suo agire la chiesa deve assolutamente far riferimento alla storia ed essere collegata con essa nel vero senso dell’espressione. Ciò significa che deve collegare in maniera convincente la tradizione, il presente e il futuro come dimensioni in cui e in virtù delle quali l’uomo vive. Essa deve evitare la tentazione di rifugiarsi in un mondo e in un tempo del passato presuntamente ideali, per esempio nello spesso tanto decantato Medioevo e definirlo come il non plus ultra del suo essere. Similmente irrealistica sarebbe la caccia a un futuro popolato di illusioni.
La chiesa deve riconoscere e realizzare – e questo è il suo compito incessante, ma anche il suo dovere e la sua promessa – l’«aggiornamento» rettamente inteso. Ciò non significa che essa dovrebbe adattarsi alle mode del momento e allo spirito del tempo comunque definibile, ma significa che deve divenire attuale, deve divenire presente nel mezzo delle correnti e dei movimenti che quotidianamente agitano il mondo e l’umanità, e tendono a sovrastarla o a spazzarla via.
Essere un molteplice corpo in movimento
La chiesa, che ha il dovere di non apparire superflua, deve complessivamente concepirsi come popolo di Dio, come unità nella diversità, una diversità che non è l’opposto, bensì la forma di un’unità viva. Per realizzare una cosa del genere essa ha continuamente bisogno del coraggio della libertà, della volontà di comprendere, di ascoltare, di dialogare, coraggio che include uno spirito di apertura e che si mette in cammino per una comune ricerca.
La chiesa, che ha il dovere di non apparire superflua, non deve concepirsi come una entità statica o atemporale, come roccia o torre nel tempo. In questa veste essa apparve per così dire elevata al di sopra dello spazio e del tempo e ad essi superiore. Ciò comporterebbe una perdita della sua propria realtà. La sua definizione è la via e l’essere in cammino, cosa che è collegata con il movimento, la ricerca e la fatica. Ma proprio così essa può dimostrare di essere in rapporto con le persone e che esse sono in rapporto con lei.
Essere un luogo accogliente di dialogo
La chiesa non apparirà superflua se non sarà un’istanza capace di fare solo delle affermazioni arroganti e di tipo assoluto, che vanno univocamente dall’alto verso il basso, senza alcuna motivazione sufficiente e riconoscibile, ma sarà un luogo del dialogo che non conosce alcun divieto di porre delle domande; un’istanza in cui il credere e il comprendere, il cercare e il trovare coesistono come un dovere e una promessa.
La chiesa non apparirà superflua, se le sue parole cercheranno di essere delle risposte a domande concrete e vitali. Le risposte, alla cui base non v’è alcuna domanda, cadono nel vuoto, non colpiscono e non convincono. È come se non fossero mai state date, perché nessuno presta loro ascolto. La predicazione della chiesa deve svolgere un continuo lavoro di traduzione, per così dire, dalla riva del passato alla riva del presente. Deve essere fedele alle origini e adeguata alla situazione. Chi riflette su ciò riconosce anche che non si tratta di un compito facile e di un compito che possa essere preso alla leggera, specialmente da parte di chi lo deve assolvere.
Se la chiesa non deve essere superflua, allora in essa e nei suoi confronti non deve esistere alcun divieto di porre delle domande. Le domande rivelano la grandezza e i limiti dell’umano, che non scompaiono qualora questi sia un cristiano. La fede è anche una custode della ragione umana.
Le chiese non sono superflue qualora non si presentino secondo i modelli della società e delle organizzazioni odierne, con tutte le loro qualità e le loro componenti (amministrazione, burocrazia, esercizio del potere), ma si presentino come comunità di coloro che credono, sperano e amano; qualora esse diventino quotidianamente sempre più comunità del genere; qualora attuino le parole di Gesù: «Chi tra di voi è il più grande diventi come quello che serve». Possiamo immaginarci questo quadro come realtà in molte comunità. Le chiese non diventano superflue qualora non si specchino in se stesse e non si preoccupino solo della propria vita, della propria sopravvivenza e del proprio benessere; qualora non siano, per dirla con Karl Rahner, stufe che scaldano se stesse.
Essere voce profetica di speranza
Le chiese non diventano superflue, qualora non si perdano in cose secondarie, non se ne occupino e non si concentrino su di esse in misura inammissibile, ma offrano sempre nuovi orientamenti e ispirazioni attingendo al loro centro.
Le chiese non diventano superflue, qualora comprendano i segni dei tempi e vedano in essi un luogo teologico, che racchiude in sé un orientamento, un dovere e una responsabilità.
Le chiese non appaiono superflue, qualora in un tempo di disagio e di rassegnazione, fonte di paralisi, infondano coraggio, speranza e fiducia; qualora vivano un messaggio che abbraccia la vita e la morte, in conformità alle parole del libro di Giobbe: «Mi uccida pure, non me ne dolgo e spererò in lui». Questo è un messaggio che nel Nuovo Testamento ha trovato una verifica inaudita nel messaggio e nell’evento della croce e risurrezione di Gesù.
Secondo Jürgen Moltmann, compito della chiesa è quello di iniettare continue dosi di speranza nel mondo, perché i segni del tempo non fanno sperare attualmente.
Non diventano superflue le chiese che sono in modo particolare le tutrici della coscienza, secondo la nota affermazione di J.H. Newman: «Prima la coscienza, poi il papa!», affermazione che non sta a indicare un contrasto, ma un coordinamento.
Avere lo stile dell’incontro e della trasparenza
Le chiese non diventano superflue qualora non siano contraddistinte da un ansioso atteggiamento di difesa, da una semplice reazione nei confronti del mondo e del tempo. Tale atteggiamento fu adottato spesso e troppo a lungo nel corso della Modernità e rimase inefficace. Ci vuole il coraggio di un’apertura creativa, dell’incontro e della discussione con il mondo e con la società.
Le chiese non diventano superflue, qualora non siano tormentate da «false preoccupazioni». […]
In un tempo in cui il fatto di essere cristiani diventa sempre meno una cosa ovvia, i cattolici sarebbero spesso di inciampo a se stessi con i loro problemi ecclesiali. A ciò dovremmo aggiungere: responsabili di questo sono pure i vescovi con la loro mancanza di coraggio. Le chiese avrebbero anche oggi molte cose da offrire come luoghi di comunione solidale, di orientamento religioso e di riflessione sulle cose realmente importanti della vita. È davvero tragico vedere come questo «capitale» sia sperperato da istituzioni immobili.
La chiesa non viene dichiarata superflua, qualora nella sua qualità di comunità di soggetti fallibili non nasconda i propri errori e le proprie manchevolezze storiche e attuali, ma le ammetta e le deplori. Con questo essa non diventa meno, bensì più credibile.
Nel sinodo di Würzburg un vescovo dichiarò pubblicamente: «Un vescovo non chiede scusa». Parole simili non dovrebbero più essere ripetute oggi, ma non si possono escludere eccezioni.
La chiesa non diventa superflua, qualora non comunichi un messaggio fatto di decreti, comandamenti e proibizioni, ma viva il messaggio inciso sulla prima pietra di una chiesa di Monaco di Baviera: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò».
Essere custode della novità cristiana
La chiesa non diventa superflua, qualora di fronte al dolore, alla sofferenza e alla morte non offra vuote parole di consolazione, ma riproponga le grandi promesse cristiane, conformemente a quanto scritto da Dietrich Bonhoeffer in carcere e sotto la continua minaccia di morte: «Dio non adempie tutti i nostri desideri, ma tutte le sue promesse». Egli verificò queste parole con la sua morte. Il messaggio della fede abbraccia, con il suo potenziale di speranza, la vita e la morte.
La chiesa non diventa superflua, qualora parli e perché parla incessantemente della realtà della trascendenza, della realtà del «davanti a Dio». Chi lo farebbe altrimenti?
Se la chiesa e le chiese fossero dichiarate superflue, dove sarebbero le istanze in cui si parla del «davanti a Dio»?
Le chiese non diventano superflue, qualora conservino e perché conservano e mantengono viva la «memoria Jesu», il ricordo consolante e pericoloso di Gesù nella predicazione, nei sacramenti, nella liturgia e nella vita quotidiana. Gesù è l’immagine dell’uomo: «Ecce Homo». Egli è divenuto manifesto come immagine, come icona di Dio. Che cosa ciò significhi ce lo spiega un pensiero di Blaise Pascal:
Non solamente noi non conosciamo Dio che per mezzo di Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi se non per suo tramite. Non conosciamo la vita, la morte, che per Gesù Cristo. Senza Gesù Cristo non sappiamo che cosa sia la nostra vita, la nostra morte, Dio, noi stessi (Pensieri, n. 548).
Essere una comunità coesa e in ascolto
Il maggior ostacolo al prestigio e alla credibilità della chiesa è costituito dalla sua divisione in confessioni, che per lungo tempo si sono affrontate in modo ostile, si sono condannate e combattute, non di rado in guerre sanguinose, e che così hanno gettato il discredito sul loro messaggio, sul Vangelo. I segni del tempo vanno nella direzione dell’ecumenismo, in seno al quale si prende coscienza del dolore e dello scandalo della divisione della cristianità, e le incontestabili differenze cercano di divenire mattoni di una diversità riconciliata.
Solo una chiesa in cui l’unità vive in seno alla diversità può fornire la prova credibile di non essere superflua. Una chiesa non diventa superflua, qualora rimanga aperta al mondo, se ne interessi e non dimentichi e trascuri la propria funzione e il proprio compito di critica sociale. Compito che non va assolto con un senso di superiorità e con saccenteria, ma nel senso della solidarietà e di una sincera responsabilità. In ciò si manifesta la sua funzione di essere sale della terra.
La chiesa non diventa superflua, qualora riesca a mostrare che cosa manca a coloro che la ritengono superflua.
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