15/03/2025
579. CI ASPETTANO GIORNI DIFFICILI «Ma a me non importa, perché sono stato in cima al monte» di Martin Luther King e James H. Cone
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Il 7 marzo 1965 avveniva la prima delle tre marce di protesta del 1965, che hanno segnato la storia del movimento per i diritti civili degli afroamericani negli Stati Uniti. Il 7 marzo resterà poi noto come Bloody Sunday, “domenica di sangue”, perché gli attivisti in marcia da Selma a Montgomery vennero attaccati violentemente dalla polizia locale. In testa alla marcia si trovava Martin Luther King, che pagherà con la vita l’essersi speso per il riconoscimento dei diritti civili. Il reverendo King, con il suo messaggio e il suo esempio, rimane anche oggi di grande attualità. Lo ricordiamo di seguito, pubblicando alcuni stralci di un articolo firmato dal teologo nero James H. Cone sulla rivista Concilium (n. 3/1983).



 

 

Vivere sotto la minaccia di una morte imminente

In pubblico e in privato, con la sua famiglia e i colleghi della Southern Christian Leadership Conference, Martin Luther King parlava spesso della possibilità imminente della sua morte. Non solo riceveva frequenti minacce di morte, ma si rendeva conto che qualunque nero osasse sfidare le strutture del potere bianco – specialmente nel sud degli Stati Uniti – rischiava la propria vita. Al tempo dell’Albany Movement (1961) disse: «Potrei venire crocifisso. Potrei morire. Ma voglio che si dica anche, se muoio nella lotta, “Morì per rendere me libero”».

E infatti al tempo della marcia di Selma parecchie persone morirono nella lotta per la libertà. Allora il reverendo King disse ai suoi seguaci:

Non posso promettervi che non sarete picchiati. Non posso promettervi che non si lanceranno bombe contro le vostre case. Non posso promettervi che resterete senza cicatrici, ma noi dobbiamo prendere posizione per ciò che è giusto. Se non avete trovato qualcosa per cui valga la pena di morire, voi non avete trovato niente per cui valga la pena di vivere.

Parlare di martirio in un’aula di università o di seminario è una cosa, ma assumere verso gli altri un impegno politico che ti porterà alla morte è una cosa ben diversa. Per comprendere come e perché Martin King abbia potuto assumere un impegno così radicale è necessario sapere qualcosa sui circa quattrocento anni di lotta dei neri. Martin Luther King proviene da una tradizione religiosa nera che dà ai cristiani neri la forza di “continuare a continuare”, nonostante tutte le previsioni contrarie. È questo l’ambiente in cui è possibile capire l’affermazione di fede che si sente spesso: «Non sono per niente stanco». Questa affermazione di fede non proviene dalla fede dei bianchi o dei neri della classe media o dalla loro mentalità capitalistica. Proviene invece dall’incontro con Dio nel dolore e nelle lotte dei poveri neri che rifiutano la disperazione come logica conseguenza della loro oppressione, perché essi credono fermamente che «Dio può aprire una strada dove è impossibile».

 

Una fede nera nella libertà e nella speranza

Fu identificandosi con questa tradizione di fede nera che King poté superare i momenti di crisi della sua battaglia per la giustizia. Se da una parte non era sempre sicuro sul modo di rendere intellettualmente convincente la sua fede per i suoi amici e sostenitori bianchi, dall’altra sapeva che la sua gente era ben consapevole dell’incapacità dei concetti bianchi di spiegare la certezza della fede nera. Per questo egli si faceva facilmente trasportare un po’ quando parlava in una chiesa nera. La partecipazione entusiasta degli ascoltatori ai suoi sermoni sulla giustizia e la non violenza, quando dicevano “Amen!”, “Bene così!”, “È la verità!”, gli faceva capire che essi erano solidali con lui, e che l’avrebbero seguito ovunque egli li avesse guidati. I neri seguivano King perché egli incarnava nelle parole e nei fatti la fede della chiesa nera che aveva sempre proclamato l’incompatibilità tra l’oppressione e il vangelo di Gesù. […]

L’influenza della chiesa nera e il suo tema centrale della libertà e della speranza è percepibile nel linguaggio di King quando parla e scrive. Tutto ciò che egli disse e scrisse suonò come un sermone e non una riflessione razionale. Infatti, storicamente molti neri erano nell’impossibilità di apprendere a leggere e a scrivere o a causa delle circostanze che accompagnavano la nostra nascita, o per le restrizioni legali imposte dal governo degli Stati Uniti. Dovevamo quindi fare teologia in forme diverse dalla riflessione intellettuale. Noi cantavamo e predicavamo la nostra teologia nel culto e nei contesti sacri. Il significato centrale esposto in queste raccolte non ordinate va cercato nella forma e nel contenuto, e si identifica con libertà e speranza. […]

Quando King parlò del suo sogno a Washington nel 1963, e quando la notte che precedette il suo assassinio a Memphis (aprile 1968) parlò della sua speranza che noi avremmo raggiunto la Terra promessa, i neri non gli credettero per la forza della sua logica, ma per lo spirito e la carica suscitati dal suo sermone. La gente gli ha creduto perché affermava di aver sperimentato nei propri cuori la presenza liberante dello Spirito di Dio. Oltre lo stile verbale e scritto della teologia di King che additava libertà e speranza, anche il contenuto del suo messaggio presentava lo stesso tema, sicché il tema centrale della libertà e della speranza davvero definisce il contenuto della vita e del messaggio di King. È riassunto nel suo discorso in occasione della marcia di Washington.

Io sogno che un giorno i figli di coloro che furono schiavi ed i figli di coloro che furono padroni di schiavi potranno sedersi gli uni accanto agli altri al tavolo della fratellanza. Con questa fede noi saremo capaci di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una meravigliosa sinfonia di fratellanza. Con questa fede noi saremo capaci di operare insieme, di andare insieme in prigione, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi.

 

Una speranza escatologica

Queste parole furono pronunciate nel 1963, ma pochi di noi oggi osano parlare con la stessa fiducia di Martin Luther King, perché ciò che è successo da allora difficilmente si concilia con il suo ottimismo. Tra il 1965 e il 1968 persino King dovette allontanarsi dall’ottimismo dichiarato nel discorso di Washington del 1963, perché i suoi sermoni e i suoi discorsi non avevano rimosso, come forse egli aveva creduto, i bastioni del potere bianco. Ma se i suoi sermoni e i suoi discorsi non riuscirono a muovere i bianchi per un cambiamento della situazione sociale, politica ed economica, riuscì il contenuto del suo messaggio di libertà e di speranza a spingere i neri all’azione. Senza la risposta della chiesa nera King avrebbe avuto la sua speranza di libertà distrutta, perché anche i bianchi liberali sembravano incapaci di incarnare la speranza e la libertà che egli andava predicando. […]

I sermoni di King contenevano sempre la speranza della libertà, ed egli la metteva sempre in rapporto con la sua lotta per ottenere la libertà in questo mondo. E quando sembrava che la libertà fosse difficile da realizzare in questo mondo Martin King non si disperava ma spostava il suo significato verso un regno escatologico, come si dice in una affermazione della chiesa nera: «Il Signore aprirà una strada in qualche modo». La sera precedente il suo assassinio (3 aprile 1968), King durante un servizio in una chiesa nera rilanciò quella speranza con la passione e la certezza tipica del predicatore nero:

Ora non so che cosa succederà. Ci aspettano giorni difficili, ma a me non importa, perché sono stato in cima al monte. Come ad ogni persona anche a me piacerebbe vivere a lungo. Ma non è di questo che mi preoccupo. Io voglio solo fare la volontà di Dio, ed Egli mi ha permesso di salire in cima alla montagna.

Il fallimento di Martin King nello stabilire la libertà durante la sua esistenza non lo portò alla disperazione come caratteristica definitiva della sua vita proprio per la sua attesa della futura libertà escatologica di Dio. Anche se ogni giorno doveva affrontare la minaccia della morte, King negava ad essa l’ultima parola, come disse nel sermone già citato:

Io vedo la Terra promessa. Forse non vi arriverò insieme con voi, ma io voglio che stasera voi sappiate che noi come popolo approderemo alla Terra promessa. Sono felice stasera di non essere preoccupato di niente. Non ho paura di alcuno. I miei occhi hanno visto la gloria della venuta del Signore.

 

 

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