“Camminare attento, instancabile e coraggioso”: così papa Francesco ha descritto, nell’omelia per la solennità dell’Epifania, la vita del cristiano, orientato alla ricerca di Dio e dei segni di quanto Egli sussurra al nostro cuore. “Cammino”: un’immagine che ben si attaglia all’ecumenismo.
Credo possa essere questo il contesto in cui leggere la crescente enfasi sul concetto di Mutual Accountability, nozione presente nel vocabolario ecumenico già da qualche tempo, ma che recentemente sta polarizzando l’interesse degli esperti e divenendo un importante riferimento condiviso, quasi una nuova categoria ermeneutica.
Che cos’è la Mutual Accountability? E come essere mutually accountable? Non se ne è ancora offerta una definizione (che del resto non riuscirebbe a coglierne l’ampiezza e la complessità), né si dispone attualmente di una convincente traduzione in italiano. Essa viene tradotta come “reciproca responsabilità”, ma ritengo che potrebbe essere meglio compresa se espressa come “reciproca buona reputazione”. La Mutual Accountability è l'insieme delle virtù del cristiano in cammino: esprime un senso di appartenenza, indica uno stile di presenza, traccia un profilo di comportamento, esemplifica un atteggiamento di relazione. Nella misura in cui le chiese e i cristiani sapranno vivere in “reciproca responsabilità” e coltivare la “reciproca buona reputazione”, pur essendo ancora “divisi”, approssimeranno la meta del loro pellegrinaggio, poiché questi sentimenti creano le condizioni della comunione.
L’etimo del termine inglese “account”, traducibile come: “resoconto”, ma anche e soprattutto, in chiave ecumenica, come: “motivazione”, “valore” e “profitto” impone di rendere ragione del nostro essere ed agire di cristiani nei rapporti con le altre chiese e di fronte al mondo. Essere accountable implica, dunque, il dare motivo agli altri di avere fiducia in noi con la nostra fedeltà al Vangelo, guadagnare credibilità grazie al nostro atteggiamento onesto e trasparente, collaborativo e costruttivo; implica, specularmente, il dare valore agli altri, al loro operato, alle loro intenzioni e motivazioni, accogliere le loro istanze, valorizzando i loro gesti, pronti ad affidare noi stessi a loro. Tutto ciò significa crescere nella “mutua buona reputazione”, e ci aiuta ad esprimere in modo concreto la koinonia reale già condivisa e sperimentata nel cammino condiviso.
La Mutual Accountability pone al centro la reciprocità: essere “reciprocamente responsabili” significa assumersi la propria responsabilità, nel senso semantico del “respondeo” latino. Le chiese devono rispondere insieme alla chiamata di Dio, devono rispondere le une alle altre nella reciproca richiesta di valorizzazione del proprio patrimonio dottrinale, liturgico, spirituale, di riconoscimento degli elementi di chiesa, della volontà di operare insieme per valori etici e sociali; devono rispondere le une delle altre nella misura in cui il mondo riconosce in esse il cristianesimo come identità unita.
In questa ottica la Mutual Accountability non è solo un atto formale, né solo un’etichetta comportamentale da seguire, e neppure e solo una opportunità, essa diviene sempre più un “test” su cui verificare quella “ermeneutica della coerenza” ed “ermeneutica della fiducia” portate alla riflessione ecumenica dalla Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese già da alcuni anni, che ancora attendono una valorizzazione efficace. La Mutual Accountability ci sprona a renderci, mutualmente, fiduciosi e fedeli, rispettosi e responsabili perché desiderosi di manifestare – utilizzando le parole di Fede e Costituzione – “l’unità fondamentale della fede e della comunità cristiana” permettendo un “positivo rapporto di complementarità fra le diverse tradizioni”, unica strada perché i cristiani “possano incontrarsi gli uni gli altri nel rispetto, aprendosi costantemente ad una metanoia che è autentica ‘trasformazione dello spirito’ e del cuore”.
Camminare insieme, dunque, è l'impegno che attende quanti – persone, chiese, istituzioni – interpellati dalla consapevolezza che la volontà di Cristo per i suoi discepoli – elevata come preghiera al Padre alla vigilia della Sua passione – è “che tutti siano una cosa sola [...] perché il mondo creda” (Gv 17,21), sono tesi a raggiungere l’obiettivo della piena e visibile unità dei cristiani.
Camminare insieme significa condividere la medesima situazione di viatores, ci rende bisognevoli gli uni degli altri, unisce in qualcosa di profondamente umano, che è orientato verso qualcosa di autenticamente escatologico. E proprio qui risiede, ne sono convinta, la potenza di questa immagine.
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