17/03/2006
68. C'è poco da ridere. La Chiesa può cambiare di Regina Ammicht Quinn (Facoltà di teologia cattolica di Tubinga)
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1/ Chiesa, cultura e assurdità

«Hanno eletto un nuovo papa» – «E chi è?» – «È una nera».
Una vecchia barzelletta. Una barzelletta che, in cerchie cattoliche, da decenni fa ridere. Questo ridere rivela l’assurdità di un’idea: che cosa, infatti, potrebbe essere più assurdo di una donna eletta all’ufficio di papa, per di più una donna nera? E il riso muore oggi sulle labbra a non poche persone.

Muore sulle labbra non a pochi – e non soltanto perché non ci si può figurare la solitudine di questa donna totalmente immaginaria tra cardinali solennemente parati (e monache senza nome e senza volto, che lavano, puliscono e cucinano). La partecipazione delle donne alle strutture direttive di tipo religioso è soltanto uno dei punti in cui non la realtà, senz’altro, ma di certo l’autocoscienza delle società occidentali e quella della chiesa cattolica stridono tra loro – questioni di stile di vita, di autodeterminazione e democrazia sono altri punti. In questo modo in molte società europee si crea un’evidente frattura tra chiesa e cultura: ciò che nel contesto sociale – a seconda della prospettiva – sembra normale, auspicabile o anche immediatamente incombente, nel contesto cattolico appare assurdo.

Ora, la società dei media sembra essersi riconciliata con questa assurdità: milioni di persone sono andate in pellegrinaggio a Roma, quando Giovanni Paolo II stava per morire, quando venne sepolto, quando Benedetto XVI fu insediato nel suo ministero; alla messa che concludeva la giornata mondiale della gioventù a Colonia partecipò un milione di giovani. Immagini religiose erano presenti ovunque e la chiesa cattolica è penetrata in ogni angolo della cultura mediatica. Sembra che il “religioso”, nella figura del papa morente e morto e poi nella figura del nuovo papa, abbia superato la frattura tra chiesa e cultura. Al tempo stesso, la situazione della chiesa cattolica nelle società occidentali è più complessa di quanto le immagini televisive lascino supporre. Le immagini nascondono solo parzialmente la realtà delle chiese vuote, della mancanza di preti, delle facoltà teologiche che chiudono, di un influsso su società e scienza che declina, e di molti bambini che crescono senza religione: questi sono fatti che mostrano quanto sia fragile il contesto di identità e di rilevanza della chiesa. A ciò è connesso il sospetto che gran parte dell’attuale interesse per la chiesa sia un interesse di superficie e formale, forse anche e sempre di nuovo un interesse per dei sentimenti specifici, ma meno un interesse per i contenuti.


2/ Il passato del futuro

La chiesa cattolica nelle società occidentali, nel frattempo, deve prendere in considerazione la possibilità di non avere futuro. Il cristianesimo e le sue chiese potrebbero diventare un evento di superficie, ma sostanzialmente morire nei luoghi occidentali di origine. Come dovrebbe essere la chiesa per potere, in questa situazione, avere un futuro?

Poiché l’attenzione pubblica degli ultimi mesi si è rivolta al ministero papale e qui sembra essere fortissima la curiosa simultaneità di critica all’interno della chiesa e di fascino al di fuori di essa, proprio su questo punto ci si deve ancora chiedere: chi e come dovrebbe essere un papa? Ogni futuro ha un passato. Di questo bisogna tener conto, per progettare il futuro.

Pietro è quella figura alla cui sequela ogni papa si comprende. Questo Pietro, un discepolo di Gesù, nei testi biblici è una figura senz’altro a più strati e dai molti volti, sposato, di professione pescatore, confidente e rinnegatore di Gesù, una figura guida nella giovane comunità cristiana. Negli Atti degli apostoli, il libro del Nuovo Testamento, presumibilmente redatto alla fine del I secolo d.C., che racconta la diffusione del messaggio cristiano, c’è una storia su Pietro che merita di essere ricordata. È una storia che risale al periodo in cui il cristianesimo non si era ancora distaccato, come setta o perfino come religione a sé, dal giudaismo e i seguaci di Gesù si comprendevano come dei pii ebrei.

La storia inizia con due visioni. La prima visione ce l’ha il centurione pagano Cornelio, il quale è chiaramente vicino al giudaismo, ma non si è ancora convertito ad esso. A Cornelio appare un angelo, il quale gli dice che Dio l’avrebbe ascoltato e che il centurione deve mandare a chiamare Pietro. Prima che i messaggeri di Cornelio giungano da Pietro, anche costui ha una visione. Pietro è salito sulla terrazza della casa per pregare e ha fame: siamo prima di pranzo. Mentre prega, vede una grande tovaglia scendere dal cielo, piena di ogni sorta di quadrupedi e di uccelli, molti dei quali, secondo la concezione giudaica, impuri (probabilmente tutti), e ode una voce: «Uccidi e mangia!». Pietro dichiara con orrore che egli, in tutta la sua vita, non ha mai mangiatonulla di impuro; al che la voce gli ribatte: «Ciò che Dio ha purificato, tu non lo chiamare impuro». Questo dialogo si ripete per tre volte, poi la tovaglia viene risollevata al cielo.

Subito dopo arrivano i messaggeri di Cornelio e Pietro va con loro. Fino a questo momento – così la logica degli Atti degli apostoli – nella comunità cristiana non c’erano ancora dei pagani, nessuno che non fosse ebreo. Si era tra ebrei. Pietro incontra Cornelio, le due visioni vengono collegate l’una all’altra e il capitolo termina con il primo battesimo di un pagano: «Voi sapete», dicePietro, «che ad un giudeo non è permesso avere rapporti con un non-giudeo o frequentare la sua casa; ma Dio mi ha mostrato che non si può chiamare alcun essere umano profano o impuro».

L’intero sviluppo degli eventi esprime preoccupazione per l’inquietudine sorta nella comunità in Galilea e Pietro, tornato a casa, viene aspramente criticato.

Che cosa è accaduto qui?

Pietro significa “pietra”. Pietro può diventare il modello della pietrificazione, oppure il modello delfondamento stabile che rende liberi per il cambiamento. Il Pietro degli Atti degli apostoli deve rinunciare a qualcosa in cui ha creduto. Se la sua fede si fosse fossilizzata, un Cornelio non sarebbe mai comparso nella storia del cristianesimo. In una visione che noi moderni possiamo interpretare come un’intensa esperienza di Dio, si pongono per Pietro degli interrogativi che propriamente non dovrebbero affacciarsi, perché egli già sa che cosa è giusto. L’esperienza della visione allarga la sua prospettiva – e subito sorgono degli interrogativi che prima non si ponevano. In questo modo il racconto non è un invito alla missione (ai giudei), bensì un corso di base in riconoscimento.


3/ Il futuro del passato

Ogni papa, poi, è un seguace di Pietro se non nutre avversione per le visioni: se non ha una fede pietrificata, bensì sta su un fondamento sicuro, che rende possibili cambiamenti e perciò esclude i fondamentalismi.

Il contenuto della visione, i contenuti della tovaglia, sembrarono al Pietro degli Atti una pretesa eccessiva – cibi impuri, che suscitano ripugnanza fisica e disgusto morale: perché non può essere, non è mai stato così, è innaturale, perché noi non ne siamo pronti, perché il tempo non è ancora maturo, perché è… una cosa assurda. Assurdo e ridicolo.

Ciò che presumibilmente oggi sarebbe contenuto in questa tovaglia sono tre insiemi ben legati:

• l’intero ambito delle relazioni umane, dei corpi umani, della sessualità e della fertilità umane – inclusa la questione umana dell’AIDS e della sua prevenzione;

• l’intero ambito dell’inculturazione del messaggio cristiano in contesti mutati e in continuo mutamento, insieme alla questione dei legami amichevoli tra confessioni e tra religioni;

• l’intero ambito delle strutture ecclesiali di potere e di esercizio dell’autorità – libertà e diritti umani come tema per le stesse strutture ecclesiali, e a ciò connesso l’intero ambito del ruolo delle donne e dei laici.
Quest’ultimo insieme, se lo si scioglie, mostrerà in modo evidente nel caso di un papa, se è uno capace di visioni, che si tratta meno del papa e più di cristianità e di cristianesimo.


4/ Religione come rischio


Nell’attenzione e nella partecipazione agli eventi ecclesiali del momento, anche in contesti poco religiosi, emerge un grande bisogno di sicurezza, chiarezza, continuità e univocità. Questo desiderio di sicurezza è comprensibile sia in contesti di rivolgimenti politici e di crescente povertà sia in contesti di insicurezze postmoderne.

La storia di Pietro non risponde a questo bisogno. Al posto di sicurezza e di conferma lì viene messo in questione massicciamente ciò che è abituale. Nel contesto della storia si può avere sicurezza soltanto a costo di escludere altri. La reazione alla messa in discussione di ciò che è abituale non è né una ferma negazione della messa in questione né una veloce liquidazione di tutto ciò che è abituale. L’abituale viene piuttosto considerato con occhi nuovi.

Nell’ottica del cristianesimo la religione è un rischio, perché essa si riferisce alla questione della verità. Questa verità non è un possesso che si imballa in un container e che poi viene chiuso ermeticamente affinché il contenuto possa continuare ad essere ereditato intatto. La verità religiosa è più grande di tutti i container tradizionali o che potranno essere costruiti di bel nuovo. La critica più aperta alle strutture e alle forme del religioso è perciò critica genuinamente religiosa.

La religione è un rischio – nessuna consolante scorciatoia per i tratti gravosi della vita. Al tempo stesso questo rischio è ricollegato ad una promessa fondamentale: la promessa che le persone sono riconosciute e accettate prima di ogni loro prestazione intellettuale, culturale o morale. Questo e nient’altro è il punto di partenza delle strutture, dei precetti e delle leggi cristiani. Il cristianesimo non può retrocedere da questo punto. A partire da qui esso, però, può sottoporre a verifica ciò che è abituale e perciò schiudere a se stesso e al mondo un futuro.

Un papa, allora, diventa seguace di Pietro se osa prendere in considerazione e forse realizzare ciò che oggi sembra assurdo e ridicolo. Una chiesa, infatti, che non può cambiare se stessa, perde prima o poi il diritto e l’opportunità di cambiare il mondo e cade in contraddizione rispetto al messaggio che annuncia.




© 2006 by Teologi@Internet
Da Concilium. Rivista internazionale di teologia 1/2006, \Tempo di cambiamenti? Questioni aperte".
Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
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