Il post che precede questo, nel blog Teologi@Internet, induce ad allargare lo sguardo, per contestualizzare le parole di papa Francesco e per osservare la questione da un punto di vista più globale. Potremmo prendere il via da alcune domande generali. Per esempio, questa: quando il papa, prendendo la parola, si rivolge direttamente a un episcopato nazionale, la curia vaticana è tenuta a prestare ascolto alle sue parole? L’interrogativo potrebbe sembrare capzioso. E davvero lo è: il ragionamento che segue vorrebbe mostrarlo. Ma procediamo per tappe.
- Prima tappa: la terza edizione tipica romana
I libri liturgici per la chiesa cattolica rivestono una delicata e strategica importanza, perché – parafrasando l’antico adagio di Prospero d’Aquitania – la lex orandi (alla lettera: la “logica del pregare”, cioè la forma del celebrare) stabilisce di fatto la lex credendi (la “logica del credere”, cioè nientemeno che i contenuti di fede). I libri liturgici di rito romano, perciò, sono sempre pubblicati da Roma in una edizione, detta typica, che fa testo per tutta la cattolicità. Le singole conferenze episcopali sparse per il mondo, raggruppate magari per aree linguistiche, provvedono dal canto loro alla traduzione e all’adattamento di quel dato libro liturgico dal latino alle rispettive lingue nazionali (inglese, francese, tedesco, spagnolo, filippino, italiano…). La versione tradotta, prima della promulgazione e dell’entrata in vigore, dev’essere sottoposta a un controllo, detto recognitio, da parte della competente congregazione romana.
Concentriamoci ora su un preciso libro liturgico: il Messale Romano. Dopo il concilio Vaticano II, che diede istruzioni su come riformarlo, si sono susseguite ben tre edizioni tipiche: la prima risaliva al 1970, e fu promulgata da Paolo VI; l’ultima risale al 2002, anno in cui è stata promulgata da Giovanni Paolo II. Il fatto che sia l’edizione più recente non significa per forza che sia “migliore” delle precedenti 1: semplicemente significa che è quella che oggi deve fare testo, quella con la quale l’intera cattolicità è chiamata a celebrare l’eucaristia. Fin da subito la chiesa italiana si è attivata per approntare i lavori di traduzione e adattamento, chiamando a raccolta gli studiosi più competenti, organizzando apposite sessioni di studio, dando avvio a commissioni di lavoro ad hoc. Gli esiti di questo sforzo, compiuto sotto l’egida dell’Ufficio liturgico nazionale e durato svariati anni, sono stati portati a conoscenza dei vescovi, specie per quanto atteneva ad alcuni punti sensibili della traduzione italiana. Alla fine, ottenuto il placet dell’assemblea della CEI, nel 2012 il testo è stato inviato alla congregazione vaticana per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, per la recognitio di prassi.
Da allora, le notizie diramate dai canali ufficiali si fanno piuttosto scarse. E fumose. Di certo si sa solo che, a tutt’oggi, per l’Italia, non esiste una versione integrale della terza edizione del Messale Romano che sia approvata per l’uso liturgico (come esiste, invece, dal 2010, per l’area anglofona) 2. Nei corridoi, però, si vocifera che la versione italiana che potremmo giornalisticamente chiamare 3.0 stenta a passare indenne sotto le forche caudine della congregazione a causa di alcune scelte operate. Fra queste, la traduzione del pro multis nelle parole della consacrazione sul calice sembrerebbe il punto incriminato per eccellenza.
Veniamo così alle parole di due pontefici rivolte a due episcopati nazionali.
- Seconda tappa: «una sfida enorme» lanciata da Benedetto XVI
Nell’ottobre 2006 la congregazione per il culto divino raccomandava ai presidenti di tutte le conferenze episcopali una traduzione il più possibile letterale di quell’inciso. A livello internazionale, si aprì un intenso dibattito fra specialisti, dal quale emergevano – documentate, argomentate – svariate riserve di metodo e di merito. Nell’aprile 2012 interveniva di persona il pontefice, allora Benedetto XVI, inviando una lettera, per il tramite di mons. Zollitsch, all’intera conferenza episcopale tedesca (a sua volta impegnata nei lavori di realizzazione della versione tedesca del Messale Romano in terza edizione). Qui il papa ribadiva la necessità di adottare il principio della corrispondenza letterale nella traduzione: «È stato deciso dalla Santa Sede che, nella nuova traduzione del Messale, l’espressione pro multis debba essere tradotta come tale e non insieme già interpretata. Al posto della versione interpretativa per tutti deve andare la semplice traduzione per molti».
I riflessi italiani del dibattito internazionale, così come i testi-chiave emanati a livello ufficiale, sono intelligentemente riportati nel saggio Sangue versato per chi? Il dibattito sul pro multis, pubblicato da Queriniana. L’Autore, il bolognese Francesco Pieri, svolge un lavoro lucido e rigoroso di ricostruzione dei vari passaggi che hanno portato all’attuale situazione di stallo, espone coraggiosamente le sue valutazioni critiche entrando nel merito del problema, e infine propone una soluzione creativa alla difficile questione («Questo è il calice del mio sangue, versato per voi e per una moltitudine»).
Il Vaticano da una parte, l’assemblea della CEI (ma con liturgisti e linguisti alle spalle) dall’altra. Clamorosa situazione di stallo. La versione italiana del Messale è e resta sub iudice.
- Terza tappa: un principio pastorale, seguito da Francesco
E tuttavia – eccoci alla tappa conclusiva del nostro breve percorso – una affermazione pubblica e ufficiale dei giorni scorsi da parte del papa sembra scompigliare le carte. E potrebbe sbloccare una volta per tutte la situazione, che rischia di restare impantanata sine die 3.
Riassumiamo: nella attuale fase di revisione (recognitio) vaticana, la congregazione oggi guidata dal guineano card. Robert Sarah stenta ad approvare la scelta operata dai vescovi del Bel Paese, instaurando una sorta di braccio di ferro. Non si può tradurre quel pro multis con un banale e lassista per tutti, che risulterebbe fraintendibile all’orecchio italiano di oggi. Lo si deve invece tradurre in maniera pedissequamente letterale, costi quel che costi: Cristo è morto in croce per molti, non necessariamente per un “tutti” che suona indistinto e qualunquista. Molto meglio insomma una rigida traduzione (e interpretazione!) restrittiva, che si mantenga inflessibile e severa, per evitare facili letture della intenzione del Salvatore. Vale a dire, per converso: una traduzione che mostri una attenzione specificamente pastorale ai destinatari concreti del testo risulta destituita di fondamento. Se i destinatari – ahimè – non riescono a sostenere la sfida e si ostinano a non capire, si illuminino le loro menti con specifiche catechesi mirate, a pioggia.
Ed ecco la novità. Quasi en passant, il 10 novembre 2015, a Firenze, rivolgendosi ai rappresentanti del convegno nazionale della chiesa italiana, papa Francesco nel suo intervento pronuncia parole inequivocabili: «Ben sapete che il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti» 4.
Il contesto di queste parole non è la diatriba (presso alcuni ha assunto un profilo stucchevole, diciamolo) sul pro multis: questo va da sé. Nondimeno, il contesto è quello di un discorso autorevole, di chiara matrice pastorale. Al punto che – come ha fatto notare Andrea Grillo nel post che precede questo 5 – una interpretazione delle “parole eucaristiche” che miri alla “lettera” e non allo “spirito” cederebbe fatalmente a una di quelle tentazioni che Francesco ha così ben descritto, appunto in chiave pastorale, in un altro passo di quello stesso discorso alla chiesa italiana: «Davanti ai mali o ai problemi della chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative». Più chiaro di così…
Torniamo allora alla nostra capziosa domanda iniziale. E riformuliamola, se è lecito, in questi termini: ora che il papa, rivolgendosi direttamente a un episcopato nazionale, ha (neppure troppo indirettamente) avvalorato una scelta di traduzione di quell’episcopato, la congregazione vaticana sarà disposta a prestare ascolto alle sue parole e ad affrancare il testo che da tempo tiene sotto sequestro? L’Italia potrà finalmente celebrare l’eucaristia con la versione in lingua vernacola del Messale Romano 3.0?
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1. Come è stato puntualmente segnalato nei mesi successivi alla sua pubblicazione, l’editio typica tertia, accanto a pregevoli e innegabili migliorie rispetto alle versioni precedenti, ha incamerato anche alcuni evidenti segnali di involuzione. Solo per esemplificare: la dicitura “colui che presiede”, per indicare appunto la figura del presidente della celebrazione (presbitero, vescovo ecc.), è stata sostituita dal vetusto “celebrante”, quasi a lasciar intendere che l’assemblea, nella varietà dei suoi ministeri, assiste alla messa non celebrando, ma standosene muta e passiva (come uno spettatore).
2. I criteri imposti dal Vaticano per la traduzione inglese hanno in realtà dato adito a svariate polemiche: solo a titolo di esempio, si vedano i contributi di K.T. Kelly e di J. Lionel nel Forum teologico di Concilium 1/2012.
3. O (maliziosamente parlando) fino alla elezione di un futuro Paolo VII…
4. Già aprendo il suo discorso, commentando l’affresco del giudizio sulla cupola del duomo, Francesco aveva biblicamente enunciato il principio sostanziale: «Gesù “ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2,6)».
5. Nel suo blog del 10 novembre 2015: «Non per alcuni, né per pochi, né per molti, ma per tutti».
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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)