Su un punto, in questo momento, sono pressoché concordi sia i cattolici tradizionalmente conservatori sia quelli progressisti: la nostra comunità di fede sta vivendo una delle peggiori crisi di fiducia della storia recente. I casi di abusi sessuali su minori ad opera di religiosi, venuti alla luce nelle ultime settimane, ma certamente risalenti in prevalenza a decenni fa, hanno logorato in molti fedeli la fiducia nella chiesa. La misura del sopportabile sembra superata. Non si pensava possibile, inoltre, che molti vescovi, fino ai livelli più alti di direzione della chiesa universale, mancassero al loro dovere di sorveglianza, contro il proprio alto éthos e contro l’esigenza di verità, venendo meno così miseramente al proprio compito. Tutto ciò manifesta più mancanza di direzione che di autorità.
La chiesa, però, è la chiesa. Proprio per tale ragione viene severamente giudicata secondo i più elevati criteri del mondo soprattutto là dove, in essa, le cose non possono andare come vanno nel mondo. Su questo nessuno può meravigliarsi e lamentarsi. Anche se quei gravi reati commessi nella comunità di fede, paragonati alle dimensioni assai più terrificanti che raggiungono nella società secolare, sono nell’ordine dell’un per mille, ciò non consola. Il ‘gregge’ – per restare all’immagine – deve potersi fidare dei suoi ‘pastori’. La vicenda è tanto più tremenda per il fatto che tale sviamento non riguarda le ‘pecore’, bensì i ‘pastori’. Sebbene la maggior parte di essi non esercitino più il ministero, ciò avrà conseguenze ancora a lungo.
A questo si aggiungono, già da parecchio tempo, irritazioni dovute all’accelerato corso restauratore della chiesa dopo il concilio Vaticano II. Nonostante assicurazioni in senso contrario, molti singoli pronunciamenti e singole decisioni indicano questa tendenza. L’equilibrio tra sollecitudine per la tradizione e coraggio delle riforme si è ribaltato. Come si esce da questa opprimente stagnazione, di modo che riforma della fede e riforma della chiesa tornino a fecondarsi reciprocamente? Una cosa è chiara: per alleggerire la situazione adesso i vescovi, come pure Roma, sono tenuti a dare segnali univoci di natura progressista. Ciò potrebbe mostrarsi nel fatto che nella pastorale, nella struttura della chiesa e nell’ecumenismo si mette finalmente mano alle innovazioni che il popolo ecclesiale, in grande maggioranza, già da tempo chiede e che già mezzo secolo fa teologi significativi come Karl Rahner, Hans Küng e molti altri – certamente con accenti differenti – hanno posto al centro di discussioni, facendole diventare temi di molti sinodi regionali. Continuare a ignorare tali proposte e desiderata di importanti assemblee, elaborati con il consenso generale, e fare come se qui non si debba cercare un accordo a livello di chiesa universale, non sta più bene. Allora ci si può chiedere se, ad esempio, per i sinodi romani dei vescovi sono stati scelti, forse molto unilateralmente, i rappresentanti sbagliati oppure se perfino i vescovi sono stati nominati completamente a prescindere dai bisogni del popolo di Dio e senza averne conoscenza.
Una spaccatura di tipo nuovo
Ugualmente fatale è che nella vita sacramentale e nella predicazione delle comunità ecclesiali si continui a procedere di routine, facendo semplicemente quello che si è fatto fino ad oggi, come se l’esperienza della demitizzazione, che ha scosso interi mondi di fede, le scoperte mozzafiato delle scienze naturali e le conoscenze storico-critiche, ad esempio nella interpretazione della Bibbia, non ci fossero state. Qui nascono i massimi problemi religiosi attuali. La perdita di fiducia accelera poi anche la perdita di fede. Se fino al 90% dei battezzati a livello mondiale non cercano più alcun contatto con la prassi religiosa, se lasciano perdere sia la vita liturgica sia la pietà privata e una corrispondente educazione dei figli, allora abbiamo in effetti a che fare con una frattura della chiesa di tipo nuovo. Il presidente del comitato centrale dei cattolici tedeschi, Alois Glück, ha dichiarato che, in definitiva, sono necessari «dibattiti aperti, onesti e liberi da tabù», su come la chiesa possa rinnovarsi radicalmente.
Hans Küng: lettera ai vescovi
Anche Hans Küng ha preso la parola con una lettera aperta ai vescovi della chiesa cattolica mondiale. L’appello è stato pubblicato da molti importanti quotidiani internazionali, ad esempio dalla Neue Zürcher Zeitung e dalla Süddeutsche Zeitung [in Italia: La Repubblica].
Nella prima parte della lettera Küng deplora, in un modo già noto, decisioni sbagliate e blocchi. Guardando all’attuale pontefice, cinque anni dopo la sua elezione a papa, il teologo di Tubinga, stimato in tutto il mondo, osserva: Benedetto XVI ha adempiuto con scrupolo agli impegni quotidiani di papa e ci ha fatto dono di encicliche giovevoli. «Ma a fronte della maggior sfida del nostro tempo il suo pontificato si dimostra ogni giorno di più come un’ulteriore occasione perduta, per non aver saputo cogliere una serie di opportunità». Molte speranze di cattolici impegnati purtroppo non sono state realizzate.
La durezza, in parte pungente, del testo è certo comprensibile a partire dalla generale delusione e dall’amarezza per la diffusa sordità romana nonché per la cecità dei vescovi. Si possono pure comprendere quei credenti che sono sì concordi con Küng sulla questione, però avrebbero preferito una scelta delle parole più conciliante e una tonalità più benevola, anche per conquistare alla causa quelli che la lettera vuole raggiungere: i vescovi – e il papa. Le sei proposte nella seconda parte dello scritto forse non sono nuove nei contenuti, ma nella situazione presente esse vanno senz’altro fatte oggetto di riflessione.
Hans Küng si augura – come prima cosa – che i vescovi non tacciano, ma che con coraggio sostengano apertamente la propria opinione quando non sono d’accordo con determinate dichiarazioni o disposizioni del Vaticano. E’ noto, ad esempio, che nel caso della larga ri-ammissione della liturgia tridentina eminenti cardinali e vescovi volevano dissuadere il papa dal suo proposito – invano. E prima dell’annullamento, senza condizioni, della scomunica ai vescovi lefebvriani l’episcopato non è stato per nulla informato.
In secondo luogo – così Küng afferma – sono importanti le iniziative personali: «Tanti, nella Chiesa e nell’episcopato, si lamentano di Roma, senza però mai prendere un’iniziativa. Ma se oggi in questa o quella diocesi o comunità i parrocchiani disertano la liturgia, se l’opera pastorale risulta inefficace, se manca l’apertura verso i problemi e i mali del mondo, se la cooperazione ecumenica si riduce a un minimo, non si possono scaricare tutte le colpe su Roma. Tutti, dal vescovo al prete o al laico, devono impegnarsi per il rinnovamento della Chiesa».
In terzo luogo il teologo ricorda che l’ultimo concilio, dopo un focoso dibattito, ha decretato la collegialità di papa e vescovi. Lo stesso Pietro non agiva al di fuori del collegio degli apostoli. Nella prassi, purtroppo, le cose continuano ad essere qui fosche. La collegialità va richiesta con tanta maggiore tenacia. In quarto luogo si chiede come si possa conciliare il giuramento di obbedienza dei vescovi nei confronti del papa con il dovere assoluto di obbedire soltanto a Dio. Nella crisi ciò può includere «la pressione sulle autorità romane, in uno spirito di fratellanza cristiana», nella responsabilità per il vangelo, così dichiara Küng. Nessuna falsa armonia! Già nei primi tempi apostolici c’erano controversie per buone ragioni, per portare avanti delle innovazioni. Molte riforme della storia della chiesa sono state raggiunte grazie a «una costante e tenace pressione dal basso».
In quinto luogo Küng propone di perseguire almeno delle soluzioni regionali, se a livello di chiesa universale non è possibile procedere. Nella chiesa particolare latina, ad esempio, è prescritto per tutti i sacerdoti diocesani il celibato, mentre per le chiese cattoliche orientali esso non è vincolante. Perché ciò che è possibile per le regioni orientali, nella grave crisi per la mancanza di preti non può valere anche per singole regioni occidentali, se lo esige la salus animarum?
In sesto luogo Küng, insieme con molti credenti, è convinto che nessuna strada porti oggi ad un nuovo concilio. «Un secolo prima della Riforma, il concilio di Costanza aveva deciso la convocazione di un concilio ogni cinque anni». Ciò fu disatteso da Roma. Assemblee episcopali rappresentative e con potere decisionale sono però, in uno sviluppo mondiale sempre più dinamico, più necessarie che mai nel breve periodo.
In conclusione Küng rivolge un appello ai vescovi perché gettino di nuovo sulla bilancia il peso della loro originaria autorità apostolica, rivalutata dal concilio. «Il solo modo per contribuire a ripristinarla è quello di affrontare onestamente e apertamente i problemi, per adottare le riforme che ne conseguono… Date un segno di speranza ai vostri fedeli, date una prospettiva alla nostra Chiesa».
Pensare e pregare insieme
Naturalmente le riforme della chiesa non rianimano automaticamente la fede cristiana. Le massicce rotture con la religione e la letargia nelle chiese territoriali evangeliche, che hanno realizzato molte delle riforme, lo documentano dolorosamente. Tuttavia, miglioramenti atmosferici nel clima della chiesa non sono da sottovalutare. Essi possono mettere le ali allo spirito di fede. La storia della chiesa lo ha dimostrato abbastanza spesso, superando così perfino fasi di una quasi totale bancarotta morale e intellettuale-spirituale del papato.
E non si dovrebbe neppure chiedere troppo al papato. La chiesa cattolica ha sì un papa, e ciò è un bene, nel senso che c’è quella figura-guida integra che cerca di promuovere l’unità di fede e speranza nella verità e nell’amore. I cattolici, però, non «credono – ingenuamente – nel papa», ma sono certamente, in modo riflesso, credenti con il papa, nella comune sequela di Gesù Cristo, vale a dire del solo e unico capo della chiesa, il quale è via, verità e vita. In quanto «rappresentante di Cristo» il papa deve e vuole condurre a Cristo, risvegliare la fede, confermare nella fede i fratelli, così che la luce della conoscenza divina illumini i cuori e liberi le anime. Questo sforzo, teologico nel senso migliore, che conduce a Dio, dovrebbe essere valorizzato in queste ore senza dubbio tanto difficili per papa Benedetto XVI. Malgrado differenti valutazioni sul cammino della chiesa e sulle decisioni romane più o meno felici, la lotta del papa per la fede merita simpatia, comprensione, con-passione, ma anche condivisione e solidarietà nella preghiera. Inoltre, occorre osservare obiettivamente che in tutti i sistemi complessi – e la chiesa è tale – il potere di direzione e l’impotenza di chi dirige sono strettamente connessi. Nell’ambito secolare della politica lo abbiamo visto di recente nella crisi finanziaria; nell’ambito sacro della chiesa ce lo mostra ora la crisi degli abusi. Anche un papa è soggetto a circostanze sociali, strutturali e comunicative, le cui autonome condizioni legali valgono dappertutto.
Papato e consiglieri
Un papa, inoltre, come ogni personalità che ha una responsabilità direttiva, fa riferimento a consiglieri coraggiosi e indipendenti, sia critici che leali, i quali fanno presente realmente la pluralità degli argomenti e non dicono semplicemente ciò che ad uno fa piacere. Se si intrufolano prevalentemente lobbisti calcolatori, suggeritori di corte che vanno e vengono, e che fanno valere soltanto i loro interessi privati, qualsiasi direzione – sia politica, economica, culturale o appunto anche ecclesiale – si ritrova ad avere un problema. Anche un papa, come qualsiasi altra persona e detentore di un ufficio, ha bisogno di forti opinioni alternative per formarsi la propria opinione, tanto per correggerla quanto per autocorreggerla. Ciò non avviene per puro gusto di contraddizione, bensì per amore alla chiesa. Un papa, in quanto supremo maestro della chiesa, deve al tempo stesso – come Pietro – essere sempre un primo discepolo che apprende, che si lascia istruire. Inoltre, per un papa di 83 anni, quale è Benedetto XVI/Joseph Ratzinger, con una lunga storia personale ricca di esperienze positive e negative, non è certamente facile ricondurre a sintesi le prime fasi, che gli vengono continuamente ricordate e spesso rinfacciate, di teologo conciliare aperto alle riforme con le delusioni successive circa i limiti del rinnovamento della fede, con le sue personali preferenze per la spiritualità tradizionale e, infine, con la paura di un possibile scivolamento della chiesa nel relativismo. Ciononostante l’attuale forte accento posto sulla tradizione non può tramutarsi io un neo-antimodernismo, del quale purtroppo ci sono indizi.
Il sistema curiale vaticano, che si è sottratto ad ogni legittimazione democratica e divisione dei poteri, esattamente per questo motivo soffre di un conflitto tra onnipotenza direttiva e debolezza di direzione, che di fatto è comune a tutti i sistemi di potere non controllati democraticamente. Ciò non depone assolutamente contro il papato, ma induce piuttosto a rafforzare tanto più duraturamente il principio di collegialità e di sinodalità a tutti i livelli, così come chiede Küng, e non solo lui. La perdita di autorità e di fiducia della gerarchia, proprio al centro del popolo di Dio ecclesialmente attivo e impegnato, è dolorosa per tutti. Tali crisi sono però una occasione opportuna per prendere coscienza di quanto essere-cristiani e essere-chiesa siano strettamente intrecciati l’un l’altro. Al bisogno di fiducia, che è al tempo stesso un bisogno di fede, non possiamo sottrarci individualisticamente e privatisticamente, per quanto grande possa essere la tentazione, e talvolta la rabbia. Se però amiamo la fede cristiana che abbiamo ereditata, che ci è stata affidata e che al tempo stesso abbiamo fatto attivamente nostra, una fede che ama la ragione, ci può essere soltanto una via di uscita: rinnovamento grazie a fedeltà tenace a quel Cristo che non è solo il passato, ma appunto il domanti, l’alfa e l’omega. In quanto battezzati di Cristo, nonché in quanto confermati dello Spirito Santo, abbiamo tutti parte sacramentalmente al sacerdozio del nostro divino salvatore. Ciò ci lega nella responsabilità ‘in basso’ come ‘in alto’. Insieme siamo credenti, insieme siamo chiesa – più che mai quando diventa difficile esserlo.
© 2010 by Christ in der Gegenwart (25 aprile 2010), Herder, Freiburg, Germania
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Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)