19/02/2013
244. «QUANDO SONO DEBOLE, È ALLORA CHE SONO FORTE» (2 Cor 12,10) Commento esegetico al ritiro di Benedetto XVI di Thomas Söding1
autore di Gesù e la Chiesa
(Queriniana 2008)
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Il papa è il successore di Pietro. Almeno questa è la versione ufficiale. «Tu sei Pietro» si canta quando compare in pubblico. Come vescovo di Roma il papa deve anche porsi alla sequela di Paolo. «Pietro e Paolo» non sono estranei l’uno all’altro. Pietro è l’uomo con le chiavi, e rappresenta l’autorità di legare e sciogliere della chiesa, per il potere e il diritto. Paolo, invece, è l’uomo con il libro e la spada che rappresenta la nitidezza della parola, per la critica e la ragione, per la verità del vangelo e la libertà della fede, per la mistica dell’amore di Dio e per il sacramento di salvezza.

Benedetto XVI, a differenza dei suoi tre predecessori, non si è dato il nome dell’apostolo delle genti. Ma ha svolto come tutti il suo ministero nello stile di Paolo. Che nel 2008 abbia indetto un “anno paolino”, è solo una piccola sottolineatura. Più importante è lo stile del suo pontificato. L’idea centrale di Paolo è guidare attraverso l’ammaestramento. Questo è pure il motto di papa Benedetto. Egli non ha picchiato i pugni sul tavolo, ma ha governato la chiesa con guanti di velluto. Non si è mai del tutto tolta la veste di professore. Egli ha aggiunto che il vescovo, in primo luogo, è un maestro. Non c’è stato quasi nessun papa prima che abbia amato le Scritture come lui; ci furono pochi papi che abbiano così ben predicato e non c’è stato nessuno che durante il suo ministero abbia scritto libri di teologia, meno che meno su Gesù di Nazaret. Condurre la chiesa attraverso l’annuncio e la catechesi, per mezzo dell’esegesi e della riflessione – questa era ed è la sua idea. Si tratta di un approccio paolino.

E che un simile accostamento sia sempre coronato dal successo, non lo si può sostenere: non per Paolo, ma neanche per il papa. Papa Benedetto ha chiaramente sopravvalutato l’intelligenza e l’integrità dei membri della Fraternità sacerdotale di San Pio X. A volte ha chiesto troppo ai giornalisti aspettandosi da loro di non fornire dopo cinque minuti di un colloquio notizie sui problemi affrontati, ma di ascoltare almeno per mezzora, fino allo sviluppo della soluzione; e lo stesso vale per la lezione di Regensburg sul rapporto tra fede e ragione, religione e violenza.

Ma sono degni di ogni onore la sua convinzione, l’argomentazione e la sua mediazione. Pochissimi hanno saputo che papa Benedetto non si è avvicinato alla Fraternità di San Pio X non perché si sarebbe allontanato dal concilio Vaticano ma perché egli era certissimo dell’orientamento del concilio della riforma. Il fatto che non abbia denunciato l’Islam come religione che esalta la violenza, ma abbia invitato alla pace tra le religioni attraverso l’appello alla ragione lo hanno notato solo pochi giornalisti occidentali, ma molti teologi islamici, in particolare quei 138 che nel 2008 gli scrissero una lettera per sostenere un concreto colloquio sulle cause e il superamento della violenza religiosa.

Il grande tema del papa era ed è la fede. Che nel  2013, nell’“Anno della fede”, si ritiri, cosa di cui egli stesso si fa carico, è tragico e insieme un’opportunità. Concentrandosi sulla fede egli tenta di imprimere il suo sigillo sulla chiesa. Ma la fede della chiesa non dipende da lui.

Il cristianesimo è una religione di fede, fin dall’inizio. Paolo lo ha come nessun altro compreso e messo in pratica. Nella fede sono superati i limiti tra giudei e gentili, fra uomini e donne, schiavi e liberi, tra le nazioni, i ceti e le classi. Nella fede si forma la chiesa.

La fede può esprimersi chiaramente; è una confessione che viene detta non solo con le labbra, ma anche con il cuore. È una fiducia, che ha radici profonde e conosce le sue ragioni. Si tratta di un sapere che trae da sé le conseguenze: nell’amore del prossimo, che dà un volto all’amore per Dio.

Paolo conosceva certamente anche la ragione per cui c’è bisogno della fede: perché c’è stato all’inizio lo scandalo inaudito della morte in croce di Gesù. Un crocifisso è secondo la legge un maledetto da Dio. Come può Dio permettere questo? a cosa può dare inizio Dio da un evento così disastroso?

Paolo non vuole coprire lo scandalo. Vuole scoprirlo. Egli cerca di svelare nel volto di Gesù torturato l’immagine di Dio. E la trova, perché non tiene tanto lontani tra loro Dio e la sofferenza, come in qualche modo lo sono, ma li unisce strettamente. Questo è il mistero dell’amore. E allora la potenza di Dio va ripensata in modo diverso: «La forza si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Corinzi 12,9). Ciò che conta è l’impegno per il prossimo, il dono di sé agli altri, vivere e morire per il loro guadagno. Dio percorre la via dell’umanità. Che ciò esista e che Dio operi esattamente in questo modo lo si può solo credere. Ma si può crederlo, perché c’è l’esperienza dell’amore disinteressato, che alla fine è anche quello che dà, che riceve il dono più ricco.

Chi lo crede può vivere in modo diverso. Paolo puntualizza questo, portando a esempio la propria persona: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Corinzi 12,10). Che egli sempre sia rimasto fedele a questo principio è una questione aperta. Però ha trovato una norma che determinerà l’intera sua opera di apostolo, la sua preghiera e il suo lavoro, la sua visione delle cose, il giudizio e l’azione: «Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (2 Corinzi 4,5).

Questa massima paolina aiuta a comprendere il pontificato di Benedetto XVI – e ora anche le dimissioni a sorpresa, che ha ovviamente pianificato con largo anticipo. Benedetto è un uomo che va al fondo delle cose. Il fondamento della chiesa è Gesù di Nazaret, il Cristo, il Figlio di Dio, il fratello di tutti gli umani, loro maestro e salvatore. Poiché ha voluto mantenere la sua amicizia con Gesù, ha scritto il suo libro su Gesù che ha completato per il Natale di quest’anno con una Premessa 4. Non è certo un caso che ci sia un legame temporale con la sua rinuncia.

Per un giudizio teologico sul suo pontificato è ancora troppo presto. I numerosi riconoscimenti suonano come necrologi. Nel frattempo Benedetto è ancora papa – e la sua rinuncia, che fa la storia della chiesa, apparterrà per sempre al suo incarico ministeriale. Ora non è il tempo di fare un bilancio di una vita che toglie il respiro, ma di sistemare teologicamente queste dimissioni. Chi guarda le cose in un’ottica paolina riconosce sostanzialmente due cose.

In primo luogo, l’ufficio dipende dalla persona. La chiesa cattolica è ammirata da tutte le critiche per le sue istituzioni e si conserva in esse non di rado molto bene. Ma le istituzioni sono altrettanto buone quanto le persone, che le riempiono di senso, sono in forze. Il papato come gesto vuoto, semplice guscio, come pura forma è una visione orribile. Benedetto XVI lo ha riconosciuto – e ha risparmiato a se stesso, ma anche alla chiesa, questo disastro. L’idea medievale dei due corpi del re e dei due corpi del papa, quello materiale e quello simbolico – papa Benedetto, con le sue dimissioni forse le prime scelte con assoluta libertà nella storia della chiesa, l’ha radicalmente superata e, in questo modo, ha modernizzato radicalmente il papato: questo vive delle persone che lo esercitano, esse devono dargli un volto, una voce, un contenuto.

In secondo luogo, l’ufficio è più grande della persona. Una parola migliore per “ufficio” è “servizio”. Il papato è un servizio alla fede della chiesa. Questo servizio aiuta la chiesa nel suo cammino lungo il tempo; senza di esso, la chiesa cattolica, in mezzo a tutte le crisi, non sarebbe rimasta unita. Il papa, che si dimette, apre la strada al successore. Il papato non è in crisi. Ha acquistato con la rinuncia qualità morale e teologica Ha bisogno di un nuovo inquilino che trovi la propria via, ma le lezioni del suo predecessore non si dimenticano.

Il ritiro è coerente. Chi come Benedetto XVI pone tutto sul potere della parola, sulla riflessione della fede, deve essere fisicamente in forze per essere in grado di guidare la chiesa con la presenza spirituale e il sostegno psicologico. Che egli abbia visto questo ed abbia agito di conseguenza, merita il rispetto di tutto il mondo. Chi ha stabilito un simile ritiro?

Ma qual è la conseguenza delle dimissioni? E una domanda è: chi sarà il nuovo papa? Ci sarà presto una risposta. Mentre più importante è un’altra questione: se anche il nuovo papa si renderà conto di ricevere un ufficio a tempo determinato, non legato a periodi di legislatura politica o a un beneficio dopo anni e anni di ministero, ma congiunto con il potere della parola, con la capacità di dare alla fede un linguaggio, un segno, una forma, con il carisma di entusiasmare le persone per Dio.

Che questa domanda sorga e non abbandoni la chiesa è una potente spinta alla modernizzazione. Il papato è anche e solo un ministero. Non è il culmine di una carriera, non la sacralizzazione di una biografia, non l’incarnazione di Gesù Cristo, ma un servizio episcopale, non solo per Roma, ma per tutto il mondo, ed anche è un contributo molto piccolo ma fondamentale per la verità del vangelo e la libertà della fede.

Papa Benedetto ha ammesso una debolezza. Questo è forte. Giovanni Paolo II ha vissuto fisicamente la sua infermità. Pure questo è stato un segno forte per molti. Ma Benedetto XVI – Joseph Ratzinger come presto bisognerà dire – non è un uomo di grandi gesti, ma di sommesse parole. Per questo ha spiegato le sue dimissioni in latino, e in una lingua che è ispirata da Paolo.




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1. THOMAS SÖDING, uno dei più noti esegeti cattolici in Germania, è docente di esegesi neotestamentaria all’università di Bochum (Germania). Presso l’Editrice Queriniana ha pubblicato: Gesù e la Chiesa. Che cosa dice il Nuovo Testamento?, 2008 (collana Books).

2. [12 settembre 2006, in il Regno - documenti  17/2006, 540-544; cf. KNUT WENZEL (ed.), Le religioni e la ragione. Il dibattito sul discorso del Papa a Ratisbona, Queriniana, Brescia 2008].

3. [Una parola comune tra noi e voi (11 ottobre 2007), in Il Regno - documenti 19/2007, 588-597].

4. [L’infanzia di Gesù, Rizzoli, Milano 2012, 5s.].




© 2013 by Thomas Söding (Università Bochum, Germania) 
© 2013 by Teologi@Internet
Traduzione dal tedesco della Redazione Queriniana
Forum teologico diretto da Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE) 

Thomas Söding
GESÙ E LA CHIESA
Che cosa dice il Nuovo Testamento?
 
Books
pagine 368

 

 

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Teologi@Internet: giornale telematico fondato da Rosino Gibellini