Prof. Pesch, si è conclusa la Sua importante opera (in due volumi)
Dogmatica cattolica.
A partire dall’esperienza ecumenica.
In che cosa consiste la cattolicità della Sua
Dogmatica? Fino a che punto la Sua
Dogmatica è ‘cattolica’?
Pesch (= P). La
Dogmatica è ‘cattolica’ in quanto – nei grandi temi strutturali scelti - include nell’argomentazione tutta la tradizione dottrinale della chiesa e a partire da essa cerca di dare la risposta di fede agli odierni interrogativi sulla fede. Essa è addirittura, per essere precisi, ‘cattolico-romana’ in quanto è scritta a partire dal contesto di vita della chiesa cattolico-romana, dunque per persone che già vivono in questo contesto o vogliono conoscerlo. Questa ultima finalità, naturalmente, sarà ancora più chiara nel secondo volume, che è in via di conclusione, il quale tratterà, tra l’altro, la dottrina riguardante la chiesa e i sacramenti. Il tutto, certamente, “a partire dall’esperienza ecumenica”, in apertura ecumenica: vorrei prendere totalmente sul serio le domande che provengono dalla tradizione della Riforma e dalla teologia evangelica del presente, e far sì che siano feconde per la dogmatica ‘cattolica’.
Per chi Lei ha scritto la Sua
Dogmatica? Quale lettore/lettrice aveva presente mentre scriveva?
P.: In primo luogo gli studenti di teologia! Il libro, infatti, è nato dal lavoro di molti decenni da insegnante di teologia sistematica, di cui 25 anni passati come teologo cattolico in una facoltà evangelica. Ma ho avuto l’ ambizione di scrivere un libro di dogmatica che possano comprendere anche ‘laici’ capaci di riflettere, pur senza preparazione teologica - e tali sono anche gli studenti di teologia all’inizio. Da qui la triplice forma tipografica: il testo principale, che tutti possono (devono) comprendere, anche trascurando tutto il resto; in un carattere ‘più marcato’ il “foraggio per gli studenti”, ossia il materiale di apprendimento per gli studenti (anche per preparare l’esame!); in carattere piccolo, poi, le ‘questioni tecniche’ che riguardano problemi particolari; le note in calce, estese, solo come documentazione, perciò nessun ‘saggio parallelo’ né
excursus. Il tutto, però, non in un ‘linguaggio professorale’ , proverbialmente terribile, con cui purtroppo alcuni teologi, anche giovani, rendono difficile, senza alcuna necessità, l’accoglienza – scusi, la ‘ricezione’ - del loro pensiero, buono e importante, specialmente per lettrici e lettori stranieri. Infatti, l’amabilità di Dio nel vangelo non deve forse trovare eco anche in un linguaggio amabile, quando non addirittura allegro e capace di umorismo?
Come caratterizzerebbe il Suo approccio dogmatico? Che cosa era per Lei particolarmente importante durante la stesura della
Dogmatica?
P.: Amo chiamare il mio approccio “Dogmatica con un particolare orientamento in senso teologico-fondamentale”. Vale a dire: non inizio ‘in modo ripido dall’alto’, come potrebbe suggerire il nome ‘Dogmatica’ in quanto “insegnamento della dottrina ecclesiale” alla luce di Bibbia e Tradizione. Inizio, invece, dalle domande degli uomini d’oggi: dai loro interrogativi spesso insicuri, che vanno tastando ciò che è in gioco con Gesù e la fede cristiana in Dio. A partire da qui cerco dapprima di pensare con gli uomini della Bibbia, con le persone che hanno conosciuto Gesù, e poi con gli uomini nella storia della fede cristiana, che con le loro domande sempre nuove dovevano pensare fino in fondo la fede. Nel dialogo con queste persone vorrei mostrare, con parole oggi comprensibili e pertinenti, la permanente ‘plausibilità’ della pretesa di verità dell’antico messaggio, che dalla storia arriva a noi in parole e idee forse diventate estranee, ossia: come invito alla fede che non va mai trasformata in costrizione intellettuale, ma resta una libera attività del cuore e dell’intelletto.
Dopo oltre dieci anni riappare una nuova
Dogmatica. Nel 1995 Gerhard Ludwig Müller presentava la sua
Dogmatica cattolica. Osi un confronto: che cosa distingue la Sua
Dogmatica da quella di Müller? Oppure, in altre parole: perché vale la pena procurarmi la
Dogmatica di Pesch quando ho già nella mia libreria quella di Müller?
P.: Apprezzo molto la
Dogmatica di Gerhard Ludwig Müller. Procede secondo un principio compositivo originale, assolutamente non convenzionale; è strutturata in una forma didatticamente funzionale e inoltre è formulata in un linguaggio leggibile, anzi amabile - per nulla in un ‘gergo professorale’! Ciò resta valido, anche se – come accade sempre tra colleghi! – nei dettagli si hanno pareri differenti. Per il resto, però, l’opera di Müller è una
Dogmatica del tipo indicato come ‘classico’. E ciò a pieno diritto. Io, però, faccio una cosa diversa - a partire dai motivi delineati e, si spera, senza rinunciare alla precisione. Che fare se nella propria libreria si ha già l’opera di Müller? Forse vale la pena leggere una prima volta, tema per tema, Müller e poi, affrontare di nuovo gli stessi temi in Pesch. La cosa migliore sarebbe orientarsi adattando alla situazione l’affermazione di Gesù: “Nella casa del Padre mio ci sono molte stanze”. In questo senso mi auguro, del tutto immodestamente, che molti studenti di teologia desiderino ricevere il mio libro come dono di Natale.
Prima del concilio Vaticano II una
Dogmatica cattolica che non seguisse Tommaso d’Aquino era pressoché impensabile. Che significato ha l’Aquinate per il Suo pensiero dogmatico? Un dogmatico di oggi deve leggere ancora Tommaso?
P.: Dopo il Vaticano II Tommaso non è più il teologo assolutamente vincolante, al quale, dal tempo di papa Leone XIII e del codice di diritto canonico del 1917, tutti i teologi e gli studenti di teologia erano obbligati - di fronte a una pretesa del genere lo stesso Tommaso non avrebbe fatto altro che scuotere la testa. Ma con il suo inflessibile coraggio nell’assumere le domande filosofiche e teologiche del suo tempo e nell’assicurare alla ragione il suo posto irrinunciabile nella riflessione teologica, egli è, proprio secondo le parole del concilio, ora come prima il grande modello. E ciò non da ultimo a motivo dell’apertura del suo pensiero. L’interrogativo di Lutero sulla giustizia dell’uomo davanti a Dio, sul proprio stare davanti a Dio quale giudice venturo, non era certamente soltanto il suo personale capriccio ‘soggettivistico’, come spesso si è supposto, bensì, come si può dimostrare, la questione di tutta la sua epoca. Tommaso, invece, è il grande esempio di una teologia che non ruota affatto attorno alla questione della salvezza personale, ma non vuole fare altro che lodare le opere di Dio nella creazione e nella storia della salvezza, fino ai limiti estremi del comprendere, offrendo a Lui, per così dire, il servizio divino del pensare. La chiesa ha bisogno di entrambi i ‘tipi’ di teologia.Il significato permanente di Tommaso sta nel superamento definitivo di un dualismo platonico, ostile al mondo e al corpo, attraverso una fede nella creazione presa coerentemente sul serio. Lo si deve leggere? Non ogni teologo cattolico è tenuto a diventare un esperto di Tommaso. Ma, a seconda delle situazioni, lo si dovrebbe anche leggere - se necessario con l’aiuto dell’edizione critica della
Summa teologica e di altre edizioni bilingue delle sue opere principali. Nel mio libro,
Tommaso d’Aquino. Limiti e grandezza della teologia medioevale (Queriniana, Brescia 1994), ho fatto alla fine delle proposte di lettura.
Dal libro del papa su Gesù l’esegesi storico-critica viene di nuovo messa in discussione. Quale ruolo gioca l’esegesi storico-critica nella sua
Dogmatica?
P.: Detto in modo chiaro e tondo: Per me l’esegesi storico-critica è diventata la fonte di una gioia totalmente nuova nell’affrontare la Bibbia. Per me la Bibbia non è più, come accadeva tempi addietro, un arsenale di citazioni probanti, ma il documento nel quale io incontro uomini delle prime generazioni cristiane, uomini che con la loro testa e il loro cuore pensano fino in fondo e esprimono la fede in Gesù Cristo per la prima volta e perciò con valore normativo, come dobbiamo fare anche noi oggi basandoci sulla loro testimonianza. Naturalmente l’esegesi storico-critica non è l’unico modo di accedere alla Bibbia – altri accessi sono dati dalla liturgia e dalla meditazione. E anche tale esegesi – come ogni pensare umano – ha i suoi limiti. Risultati apparentemente sicuri possono essere di nuovo buttati a mare. Anzi, il metodo in quanto tale non è affatto un contributo teologico nel senso vero e proprio. Ma è, pur nei suoi limiti, uno strumento indispensabile per rintracciare ciò che l’autore biblico ha voluto o meno dire. Orbene, se oggi delle persone si interrogano su Gesù e di fronte a questa domanda innanzitutto non sperimentano il dogma ecclesiale come risposta, allora niente aiuta quanto andare “agli inizi del comprendere” (Dietrich Bonhoeffer) e con gli uomini della Bibbia chiedere semplicemente: “chi è mai costui?”. La risposta può darla, in primo luogo, soltanto l’esegesi storico-critica - con tutto il rischio e con tutti i limiti che questa comporta. Il compito del teologo è allora di mostrare come la risposta della Bibbia, nel contesto di nuove domande, ha condotto alla professione ecclesiale di fede – e come questa professione di fede, a sua volta nel contesto di nuove domande, va tradotta in nuove parole, senza comportare perdita nel contenuto. E ciò sempre sotto il controllo della testimonianza biblica. Ma non ci può essere alcuna professione di fede in Cristo contro la sicura immagine storico-biblica di Gesù.
La sua
Dogmatica è concepita anche come un manuale. Chi è stato il Suo maestro più significativo in dogmatica? Da quali dogmatici Lei ha maggiormente appreso?
P.: In primo luogo devo ricordare i miei insegnanti nella Scuola superiore di teologia, dei Domenicani a Walberberg, allora in piena fioritura, e tra di essi soprattutto Dominikus Koster – troppo poco noto come uno dei padri dell’idea della chiesa come ‘popolo di Dio’, idea che al concilio Vaticano II trovò la sua grandiosa conferma – e poi Adolf Hoffmann, il grande studioso di Tommaso. Da loro ho appreso un tomismo aperto, che non poteva proprio essere eretto a ‘bastione’ contro le domande della modernità. Nei miei anni di studio a Monaco di Baviera si aggiunsero i miei relatori del dottorato, Heinrich Fries e il grande dogmatico e studioso di Medioevo Michael Schmaus. Ideale segreto per noi studenti degli anni ’50 era allora già Karl Rahner, che io però ho potuto conoscere personalmente solo tardi, quando egli era diventato da tempo il ‘padre della chiesa’ della teologia cattolica postconciliare. Ma presto si aggiunsero, a motivo del mio lavoro su Lutero, i grandi dogmatici evangelici, soprattutto Paul Althaus (+ 1966) e Gerhard Ebeling (+ 2001), e tra i contemporanei della mia generazione Wolfhart Pannenberg. Che io abbia imparato molto dai lavori di Hans Küng, non lo devo né voglio affatto qui nascondere. Ma ugualmente molto significa per me l’amicizia scientifica e personale con Max Seckler (Tübingen, professore emerito dal 1995).
Immagini che Lei possa intervistare, per un portale teologico in
Internet, papa Benedetto XVI. Quale sarebbe la Sua prima domanda?
P.: La mia prima domanda al teologo Joseph Ratzinger sarebbe: per poter diventare cristiani, dobbiamo prima diventare greci? Da sempre Ratzinger ritiene che l’unione di testimonianza biblica e ragione greca nella professione di fede in Cristo nella chiesa antica sia, da allora in poi, inseparabilmente legata all’essenza del cristianesimo e proprio di recente si è espresso veementemente contro tendenze ad una ‘deellenizzazione’ della professione di fede in Cristo. E che cosa può fare allora la povera gente dell’Africa, dell’Asia, e anche dell’America latina, che non è mai venuta in contatto con lo spirito greco?La mia prima domanda a papa Benedetto XVI, inoltre, sarebbe: Per quanto tempo ancora Lei vuole lasciar proseguire l’inaridimento delle nostre comunità, rifiutandosi di modificare le condizioni di accesso al ministero ecclesiale? Secondo recentissime indagini, circa 1200 assistenti pastorali attivi in Germania sono vocazioni presbiterali impedite – per lo più a motivo del celibato. Se si aggiungono i preti che hanno lasciato il ministero per lo stesso motivo, i quali però sarebbero disposti a riprendere il loro posto domani stesso, potremmo avere in un colpo solo all’incirca 3000 preti in più. Deve continuare la cosiddetta ‘protestantizzazione’ delle nostre comunità, con la “celebrazione della parola di Dio” al posto dell’eucaristia alla domenica, cosa che, d’altra parte, si vuole impedire rimarcando la insostituibilità del ministero presbiterale? E’ disposta la chiesa a rinunciare ai sacramenti?
Immagini che nell’Accademia cattolica di München Lei possa discutere con Jürgen Habermas. Su che cosa vorrebbe con lui parlare?
P.: Non conosco abbastanza il pensiero di Jürgen Habermas – non si può essere competenti in ogni cosa. Ma per quanto l’ho compreso, discuterei con lui volentieri su due argomenti: sulle condizioni e i presupposti del “discorso libero da coercizioni” e sulla questione se la sua recente rivalutazione della religione non porti ad una strumentalizzazione a scopi di riforma sociale, di cui la fede non può accontentarsi. Dio stesso non è strumentalizzabile.
Quale filosofo dell’età moderna Lei apprezza di più e quale disdegna di più?
P.: Rispondo con una bella citazione di Tommaso d’Aquino nel suo commentario alla Metafisica di Aristotele: “Dobbiamo amarli tutti, sia coloro dei quali accettiamo l’opinione sia coloro la cui opinione rifiutiamo. Tutti, infatti, si sono sforzati di cercare la verità e in tal modo ci hanno aiutato. Ma si deve aderire a quell’opinione che ha colto la verità con la maggiore certezza”.Io non ‘disdegno’ nessun filosofo, ma mi trattengo dal contraddire se si spara contro una caricatura della fede religiosa e/o non vengono visti i limiti del rispettivo proprio metodo.
Cento anni fa la controversia modernista scosse la teologia cattolica. Il suo collega Peter Neuner chiede che finalmente sia riconosciuto che molte affermazioni del Vaticano II sono, nel senso della enciclica antimodernista
Pascendi, chiaramente moderniste. Domanda provocatoria: Quanto ‘modernista’ è la teologia cattolica di oggi?
P.: Sottoscrivo pienamente la richiesta del mio collega Peter Neuner. La parola ‘modernismo’ è stata, in quel tempo, un ‘insulto collettivo’ degli avversari, che gettò nello stesso calderone tutta una serie di nuove aperture, tra loro assolutamente differenti, nella teologia cattolica. L’ ‘antimodernismo’, che non solo non ammise le risposte di allora, ma neppure le domande dei ‘modernisti’, ha colpito la teologia cattolica per un mezzo secolo come un’infezione tetanica. Qui sarebbero realmente necessarie alcune riabilitazioni. Niente meno che papa Pio XII, però, ha già potuto risolvere in gran parte questa infezione, soprattutto con la sua enciclica
Divino afflante Spiritu, sulla interpretazione della Bibbia, e con il prudente riconoscimento dell’esegesi storico-critica. Ciononostante, attorno alle questioni del ‘modernismo’, al concilio ci sono stati ancora duri scontri, e certe tendenze nella chiesa di oggi potrebbero addirittura risvegliare la paura di un nuovo ‘antimodernismo’.
Permetta, La prego, di dare un’occhiata nel suo laboratorio teologico. Come ci si deve immaginare Otto Hermann Pesch nel lavoro di stesura della sua
Dogmatica? Con quali tempi e a quali condizioni Lei può lavorare nel modo più concentrato possibile? Che cosa, a tal riguardo, non può assolutamente mancare sulla Sua scrivania? Quali rumori Lei trova insopportabili quando legge e scrive? E inoltre, nello stendere qualche tema della Sua
Dogmatica ha avuto anche dei freni o intoppi?
P.: Io non sono un’allodola, ma una civetta. Prima di mezzogiorno posso sbrigare soltanto inezie e cose meccaniche, ad esempio elaborare note in calce o correggere ancora una volta parti di manoscritti già pronti. Il mio tempo ‘creativo’ è tra le 15 e le 20, eventualmente – dopo un buon giallo alla TV – ancora un po’ tra le 21 e le 23, o anche fino a mezzanotte. Sulla scrivania poi stanno gli appunti precisi con l’articolazione e la sottoarticolazione stabilite, e i dettagli di quanto devo scrivere. A destra, nello scaffale, le edizioni scelte delle opere di Lutero e Tommaso. A portata di mano i libri che al momento utilizzo e consulto. Insopportabili per me non sono molte cose. Praticare dei fori e picchiare in casa in momenti di trasloco (spesso!) è fastidioso, ma inevitabile. In nessun caso quando scrivo posso ascoltare musica – in quei momenti devo concentrami.Freni o intoppi nello scrivere? Nello scrivere non più, ma certo - spesso per giorni - nella fase di ideazione e in quella di fissazione dell’impianto generale e dei dettagli. Per prevenire una errata immagine nei confronti delle mie, proprio non poche, pubblicazioni dirò che io non sono un ‘maniaco del lavoro’. Non sto al computer dalle 7 del mattino alle 11 di sera. Lavoro sulla ‘materia’ spesso a lungo – eventualmente fino a sera, prima di coricarmi. Ma quando inizio a scrivere, la cosa va avanti abbastanza rapidamente, perché quasi mai scrivo una frase sapendo fin dal principio che non la lascerò così com’è. Comunque, tale concentrazione è logorante, e dopo un’ora e mezza devo fare una pausa.
Quale professione Lei avrebbe desiderato fare se non fosse diventato teologo?
P.: Prima della maturità avevo preso in seria considerazione la possibilità di studiare musica (pianoforte, direzione, anche composizione - da ginnasiale e durante gli studi universitari ho composto varie cose). I presupposti ci sarebbero stati (al dire del mio assai valido maestro di pianoforte). La teologia ha poi vinto - comunque, anche senza l’opzione di diventare un giorno professore.
Le è chiesto di dare tre consigli a uno studente in teologia, nel primo semestre – quali sarebbero?
P.: Primo: Resti sempre curioso - soprattutto nei confronti della storia della fede, che ‘rende liberi’ e dà il coraggio di una riflessione personale. Secondo: Non ceda mai ad un cosiddetto ‘consenso della ricerca’, ma rimanga critico – un tale ‘consenso’ è già sparito nel cestino della storia della teologia. Terzo: Non risparmi ai suoi insegnanti la domanda su che cosa comportano i risultati della Sua ricerca professionale per la sua personale esistenza di fede – non dopo ogni lezione, ma comunque nel corso o alla fine di un semestre.
Permetta, alla fine, ancora sette domande, quasi di rito. La sua figura preferita nella storia?
P.: Tommaso d’Aquino.
Il suo pittore preferito?
P.: Kandinsky – e soprattutto gli espressionisti.
Il suo compositore preferito?
P.: Ludwig van Beethoven – nel dubbio anche Johannes Brahms e Anton Bruckner; tra i moderni Paul Hindemith.
Il suo scrittore preferito?
P.: Nessuno. Il poco tempo libero, nell’ ‘inquieto riposo’, appartiene alla musica. Non appena ho del tempo, vorrei leggere ancora una volta Heinrich Böll.
La sua occupazione preferita?
P.: Naturalmente, al primo posto, la teologia! Il mio lavoro ideale è la mia professione! Poi, fare della musica (pianoforte, musica da camera con amici, organo), e cucinare!
Quale riforma ammira di più?
P.: La riforma liturgica del concilio, completata da papa Paolo VI – l’opera riformatrice ecumenicamente più importante e duratura del concilio, purtroppo spesso screditata per mancanza di stile nella realizzazione.
Il suo motto?
P.: Non dimenticare mai il Grazie a Dio per il molto che mi è stato dato, senza mio merito.
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Tra le opere di Otto Hermann Pesch presso la Queriniana segnaliamo
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Martin Lutero. Introduzione storica e teologica – Biblioteca di teologia contemporanea 135
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Il Concilio Vaticano II. Preistoria, svolgimento, risultati, storia post-conciliare – Biblioteca di teologia contemporanea 131
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Tommaso d'AquinoLimiti e grandezza della teologia medievale. Una introduzione – Strumenti 54
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© 2010 by Herder Verlag, Freiburg im Breisgau
Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)"