07/04/2010
162. Karl Lehmann: garante della riconciliazione tra le chiese e del rinnovamento della fede di Eugen Biser
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Il cardinale Karl Lehmann è tra le più eminenti figure dell’episcopato tedesco, ed è anche un autore dell’Editrice Queriniana. Tra le sue ultime pubblicazioni presso la nostra editrice: – È tempo di pensare a Dio. Proponiamo questo testo, che ne traccia il profilo ecclesiale e culturale, firmato dal teologo tedesco Eugen Biser, docente emerito della cattedra di Katholische Weltanschauung già tenuta da Romano Guardini, in occasione del conferimento del Premio per il dialogo interculturale e interreligioso al cardinale Karl Lehmann.


Quando il giovane studioso Karl Lehmann, dopo lo studio della filosofia, che lo aveva messo a contatto con l’anticristianesimo polemico di Nietzsche e con quello subliminale di Heidegger, ritornò alla teologia, deve aver detto a se stesso: “Parlare di Dio in modo così naturale come sanno fare costoro, io proprio non lo posso”.

Ciò si riflette nel suo volto, di lui figlio di una famiglia di insegnanti, nato il 16 maggio 1936 nel rigido nord della “terra imperiale” degli Hohenzoller. In questo volto, dallo sguardo per lo più gioviale, sono incise profonde rughe che risalgono già al duro periodo del suo insegnamento quale assistente di Karl Rahner, nonché alla sua logorante attività a fianco del cardinale Julius Döpfner, suo amico, durante il sinodo di Würzburg e alle sue battaglie come presidente della Conferenza episcopale tedesca, ma soprattutto alla sua lotta con il Dio nascosto.

In questo senso, però, si sviluppò anche l’itinerario della sua vita interiore e scientifica. La chiesa, infatti, che egli servì sempre con totale dedizione, gli richiese di continuo il massimo impegno. Karl Rahner, lui stesso completamente preso dal concilio, lo gravò non solo della eccessiva redazione dei molti volumi dei suoi “Scritti di teologia”, che devono in gran parte a Lehmann la loro leggibilità, ma anche della organizzazione della sua biblioteca seminariale di Monaco. Quando Rahner lasciò Monaco per Münster, Lehmann andò a concludere i suoi studi a Roma, dove portò a termine la sua importante opera “Risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture”, con la quale, malgrado la resistenza del teologo gesuita ultraconservatore Sebastian Tromp, si laureò “summa cum laude”.

Ciò gli aprì la strada per l’insegnamento a Freiburg e a Mainz, ma anche quella del ministero episcopale e di presidente della Conferenza episcopale tedesca. Questi luoghi, però, sono al tempo stesso le tappe di una via crucis: a cominciare dal dibattito sulla predicazione da parte dei laici e sulla enciclica Humanae vitae, per continuare poi, con diverse interruzioni, nella discussione sulla “dichiarazione di Königstein” e sulla consulenza per le donne in gravidanza. In questi pesanti conflitti il destinatario del nostro premio si pone in modo deciso dalla parte dei deboli, di coloro che sono privi di aiuto, fedele al modello di Gesù e al suo principio: “Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27), seguendo il quale la legge deve essere interpretata a favore della persona, e in nessun caso la persona può essere sacrificata alla legge.

I solchi sul viso di colui che oggi merita il nostro onore parlano dunque, non da ultimo, della prova a cui egli si è trovato esposto nel conflitto interiore tra fedeltà alla chiesa e amore per l’uomo. In tutto ciò si delinea il suo profilo. La sua intelligenza lo condusse alla teologia, dalla quale egli si è sentito provocato nella maniera più intensa possibile; il suo amore per gli uomini lo portò al sacerdozio, istituito per il servizio all’uomo, la sua volontà organizzativa lo portò all’ufficio di vescovo, che richiede in modo particolare questa dote; e la sua capacità di unire fedeltà ai principi e sensibilità pastorale gli fruttò, già per la terza volta, la presidenza della Conferenza episcopale tedesca. A questa singolare dimostrazione di fiducia coloro che sono qui riuniti possono solo associarsi unanimi, nel modo più vivo.

Quale espressione tangibile del nostro affetto e riconoscendo i suoi grandi meriti, specialmente nel dialogo con le altre religioni e visioni del mondo, abbiamo deciso all’unanimità, nel Consiglio della fondazione, di conferire a Lei, signor Cardinale, il premio della fondazione. Accettando il premio, Lei ci ha fatti sentire molto onorati.

In rappresentanza di tutti coloro che si sono qui ritrovati per questa occasione, io saluto il nostro reverendissimo arcivescovo, cardinal Friedrich Wetter, promotore del forum per credenti e non credenti, il signor arcivescovo Alois Kothgasser di Salisburgo e il vescovo emerito Reinhold Stecher di Innsbruck, l’arcivescovo, a me da decenni legato d’amicizia, Alfons Nossol dalla lontana Oppeln e, non ultimo, il vescovo di Augsburg, fresco di nomina, Walter Mixa, amico da lunghi anni e benefattore della mia accademia.

Faccio riferimento a uno scritto del festeggiato, aggiungendo che come supporto argomentativo egli può basarsi anche sulla teologia da me sostenuta. Al suo centro c’è la giustificazione della pretesa del cristianesimo a proporsi come una religione mondiale. Questa pretesa, infatti, è stata offuscata fino al punto che il cristianesimo ha rischiato di perdere il suo profilo specifico nel coacervo delle altre religioni mondiali, con il loro Dio ambivalente, oscillante tra bontà e ira. A questa immagine troppo umana di Dio, però, Gesù contrappose la sua immensa attività innovatrice, che lo fece diventare il più grande rivoluzionario della storia delle religioni. Egli, infatti, che (secondo Gv 1,18) veniva dal cuore di Dio, dischiuse all’umanità il mistero del Dio che ama incondizionatamente, del Dio che non solo ama, ma (secondo 1Gv 4,8) è “l’amore”.

In tal modo egli rivoluzionò tutti i rapporti religiosi. Il rapporto dell’uomo con Dio, dell’uomo che alla luce di questo amore scopre che è chiamato alla dignità di figlio di Dio. Il rapporto con il prossimo, che l’uomo, per usare le parole di Kierkegaard, non solo deve amare come se stesso, ma in quanto se stesso. E il rapporto con se stesso, perché per noi tutti è tempo di metterci sulla via regale della immunizzazione contro il male. Precetti e divieti, infatti, allontanano l’uomo dal male solo limitatatamente, mentre lo libera da esso assai più efficacemente il principio amore che è stato in lui effuso (secondo Rm 5,5), e che lo rende incapace di volere e di compiere il male.

Questa agevolazione ha sicuramente un prezzo. Infatti, come si può conciliare con questo Dio dell’amore la sofferenza anonima del mondo, che giorno dopo giorno sperimentiamo a fior di pelle? A tale interrogativo il cristianesimo ha soltanto una risposta, ma per questo sconvolgente: la croce e “il capo coperto di sangue e ferite”, che al posto di una risposta verbale ci guarda dall’alto della croce.

A ciò corrisponde il corso dello sviluppo storico della fede. Agli inizi di Lehmann faceva sentire ancora la sua influenza l’ombra del concilio Vaticano I, che comprendeva la fede come un atto di obbedienza nei confronti dell’autorità di Dio, di cui era dono. Questa posizione però fu in seguito scossa dalla crisi mondiale dell’autorità, che mise in questione tutte le autorità, familiari, pedagogiche, politiche e ecclesiali, come Peter Wust, precorrendo i tempi, aveva già constatato nella sua opera Incertezza e rischio. Tale crisi non si fermò neppure davanti all’autorità divina.

Al suo superamento contribuì il Nestore della filosofia tedesca Hans Georg Gadamer, distinguendo tra l’autorità di chi detiene potere e quella del maestro. Mentre il primo cerca di restare attaccato alla sua autorità con tutti i mezzi, il secondo vi rinuncia nell’atto del suo insegnare, per essere per questo ricompensato con il “miracolo del comprendere”. Ciò, però, riguarda in primo luogo Dio, che si abbassa per riconciliare con sé l’uomo. Vista in questa prospettiva, la fede è un progressivo comprendere Dio. Nel dialogo con Martin Buber divenne poi chiaro che l’accento si spostava dai dogmi rassicuranti al contenuto da essi formulato, e che così in ogni forma di fedeltà alla chiesa era in gioco l’esperienza di fede.

Karl Rahner ha sottolineato che il cristiano, oggi, o sarà un mistico oppure non sarà affatto: perciò è ora arrivato il grande momento in cui si apre lo scrigno delle concretizzazioni e il mistero della inabitazione di Cristo deve essere riscoperto e vissuto. E ciò non da ultimo nel rapporto con tutti coloro che il suo amore abbraccia e chiama all’unità.

E’ da questo punto che prende avvio la vitale opera teologica del destinatario del nostro premio. Egli è stato da sempre un pioniere dell’ecumenismo, uno che già da tempo si è dichiarato a favore di esso in numerose esternazioni. Così nelle sue analisi sulla “Portata ecumenica della Confessio Augustana”, nella sua difesa della “Unità della chiesa e della comunione nella Cena del Signore”, nel suo scritto in onore di Karl Rahner come pioniere dell’ecumenismo, ma anche nel suo monito a “non scavalcare semplicemente l’ostacolo rappresentato dalla Cena” e nel suo provocatorio interrogativo: “Condanne dottrinali – fattore di separazione tra le chiese?”.

Egli però non ci è meno di aiuto per riscoprire la fede. Già lo è a partire dalla sua tesi di laurea “Risuscitato il terzo giorno”, con la quale, in controtendenza rispetto all’inclinazione moderna a marginalizzare la risurrezione di Gesù, egli dimostrò che essa è il cuore del cristianesimo. In questa prospettiva la futura attività del presidente della Conferenza episcopale tedesca, nell’affrontare la fatica continua della fede, basandosi sull’eredità del concilio Vaticano II ma anche sul grande segno dei tempi dato nella figura dell’unificazione dell’Europa, si concentrerà nel promuovere un ampio risveglio della fede. A questo riguardo, nella sua relazione di apertura da presidente rieletto della Conferenza episcopale tedesca, egli ha fatto appello a scoprire “la permanente novità della fede cristiana” e a trarne le dovute conseguenze. Potrebbe aiutare in questo, non da ultimo, un “richiamo vigoroso e vitale” all’eredità del concilio Vaticano II. Nella giornata mondiale della gioventù egli chiamò i giovani a smascherare “le false stelle” e le false ideologie, e a seguire, insieme con i magi venuti dall’Oriente, la stella di Betlemme.

A Natale questa stella ci precederà con la sua luce aiutandoci a comprendere la parola sulla “bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini” (Tt 3,4). Unitamente alla beatitudine dei poveri, di chi ha fame e di chi piange (Lc 6,20s.), e al grande invito per chi è stanco e oppresso (Mt 11,28), essa ci farà volgere lo sguardo al cuore dell’evangelo, là dove, dal suo centro, ci guarda il volto del Dio che ci ama incondizionatamente.

Karl Lehmann ha Lui dalla sua parte. Da Lui egli può sentirsi incoraggiato e corroborato nell’assunzione dei suoi compiti episcopali. Noi però non possiamo, in questa ora di festa, augurargli nulla di meglio che l’assistenza di questo Dio.


Karl Lehmann presso la Queriniana:

- Presenza della fede – Biblioteca di teologia contemporanea 29

- È tempo di pensare a Dio. Intervista con Jürgen Hoeren – Nuovi saggi 80

- Gesù Cristo è risorto – Meditazioni 33

- Vivere con la Chiesa (in collaborazione con J. Ratzinger) – Meditazioni 44



© 2010 by Teologi@Internet
Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi
Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
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