È ricorso l’11 febbraio 2010 il 20° anniversario della morte del grande teologo francese domenicano, Marie Dominique Chenu. Qualificate riviste teologiche in campo internazionale hanno ricordato l’anniversario del teologo dei “segni dei tempi”. Riportiamo qui, per il suo valore teologico, il commosso ricordo scritto da un altro grande teologo domenicano, Edward Schillebeeckx (recentemente scomparso): ricordo scritto in occasione della morte del p. Chenu, avvenuta l’11 febbraio 1990.
M.D. Chenu è morto a Saint-Jacques a Parigi; aveva 95 anni. Era praticamente cieco da una decina di anni e camminava a stento; ma lo spirito fu acuto fino all’ultimo. I funerali hanno avuto luogo nella chiesa di Notre-Dame di Parigi; concelebravano il cardinale Lustiger di Parigi, Damian Byrne, maestro generale dell’ordine domenicano, p. Marneffe, provinciale di Parigi e sei vescovi. Alcune centinaia di domenicani venuti da tutta la Francia e anche dall’estero riempivano le due navate laterali, mentre quella centrale era piena di fedeli commossi. Durante la celebrazione è stato letto un telegramma del papa, a firma del cardinale Casaroli, nel quale il pontefice esprimeva un ringraziamento per tutto ciò che Chenu aveva fatto per la chiesa.
Prima ancora della «teologia della speranza», della «teologia politica», della «teologia economica» e dei vari rami della teologia della liberazione, Chenu ha iniziato il rinnovamento teologico. Etienne Gilson ha detto una volta: «Di padre Chenu, ce n’è uno solo al secolo». Non si sa bene se ammirasse di più la genialità creativa di Chenu oppure il suo cuore umano e caloroso. Claude Geffré ha scritto giustamente, in occasione della sua morte: «Chenu era maestro di teologia e di umanità» (Témoignage Chrétien, n. 2380, 19-25 febbr. 1990).
Nel 1913 Chenu entrò nel monastero Le Saulchoir (una casa «ad salices») dei domenicani francesi, nella zona di Kain in Belgio, perché molti ordini monastici erano allora vietati in Francia. Studiò anche per un periodo a Roma e tornò a Kain nel 1920. Coltivò il suo senso storico con i padri Mandonnet e Lemonnyer, allora decano della facoltà di Le Saulchoir, dove insegnava anche il grande esegeta P. Lagrange. Nel 1932 venne nominato «regens studiorum», maestro degli studi e, successivamente, rettore di due facoltà. Poco prima della guerra il monastero di Le Saulchoir fu trasferito a Etiolles, presso Parigi e sistemato in un nuovo edificio a forma di roccaforte. Nel 1942 Chenu dovette incassare il primo colpo. Il libretto innocente e brillante Une École de Théologie, Le Saulchoir (1937) fu condannato da Roma: risultato di sinistre strumentalizzazioni, come sapeva bene Chenu. Da allora non mise più piede a Le Saulchoir.
Alcuni anni dopo, gli giungeva la richiesta da parte della École des Hautes Études della Sorbona di tenere una lezione settimanale sul medioevo. Io stesso ho frequentato le sue lezioni nell’anno accademico 1945-1946. Le sue pubblicazioni sul medioevo sono tutte frutto di queste lezioni. È stato lo stesso grande maestro medievalista Jacques Le Goff che, a nome della Sorbona, della École des Annales e dei medievalisti parigini, ha reso omaggio a p. Chenu durante la liturgia funebre. Voglio citare una frase della sua orazione: «Padre Chenu mi ha insegnato, come forse molti storici avrebbero voluto fare senza esserne capaci, a chiarire lo sviluppo e l’attività della teologia e del pensiero religioso nella storia, situando questi al centro della storia universale, dove, senza dipenderne, possono collocarsi tra storia economica e storia sociale, storia delle idee e storia ecclesiastica in tutte le loro dimensioni materiali e spirituali». Il non-credente Le Goff era l’unico ad applaudire calorosamente nella chiesa di Notre-Dame. Tutti i presenti lo sentivano: l’onore postumo al grande maestro Chenu era più che meritato. Le Goff ha concluso, dicendo: «Addio, padre. Grazie, per quello che è stato, per quello che ha detto, per quello che ha scritto, per quello che ha fatto. Ma lei resta, in spirito e nei nostri cuori, con noi, perché noi abbiamo sempre bisogno di lei».
Non dobbiamo dimenticare che Chenu era tutt’altro che uno studioso estraneo al mondo. Era anche il grande animatore dei preti-operai francesi. Per questo è stato esiliato da Parigi, nel 1954, per un intervento del Vaticano. Una storia dolorosa che è stata valutata e analizzata nei minimi dettagli nel recente studio di p. François Leprieur o.p., Quand Rome condamne. Dominicains et prêtres-ouvriers (Parigi 1989). Chenu non praticava una «teologia speculativa». Era teologo sulla base dei fatti, degli eventi, dei movimenti sia del passato che dell’attualità. Era un ricercatore: sempre alla ricerca, come nessun altro, dei «segni dei tempi» (vedasi il suo articolo «Les signes du temps», in Nouvelle Revue Théologique 97(1965), 29-39). Per questo la sua teologia era molto vivace e presente dovunque: alla nascita della JOC di Jos. Cardijn, già nel 1933, quando Chenu viveva in Belgio; alla fondazione delle riviste Esprit, Sept e Témoignage chrétien; alla istituzione della «Mission de Paris» e della «Mission de France»; infine alla fondazione di Concilium nel 1962. In età molto avanzata scrive ancora un piccolo capolavoro, La doctrine sociale de l’Eglise comme ideologie (1979), nel quale analizza tutte le encicliche sociali dei papi. Insieme con il suo confratello Y. Congar, Chenu redasse il testo di un «Messaggio dei Padri del Concilio al mondo», negli anni del concilio Vaticano II, parlando della chiesa dei poveri. Con molti emendamenti, fortemente indebolito, questo messaggio è stato inviato al mondo. Il messaggio avrebbe poi ispirato i primi teologi della liberazione dell’America Latina, e soprattutto Gustavo Gutiérrez.
Dopo la sua condanna, Chenu scelse di andare a vivere a Saint-Jacques, diventando un perno nella vita intellettuale e spirituale della città universitaria. Ogni sabato pomeriggio la metà del clero di Parigi si spostava a Saint-Jacques, dove Chenu parlava dei libri nuovi, dando autorevoli consigli su quali libri leggere o meno. Era una specie di forum dove Chenu, come una volta san Tommaso nei suoi «Quodlibeta», rispondeva a tutte le domande del clero parigino. Ho assistito più volte a questo evento: era davvero un avvenimento, qualcosa come un torneo medievale, con quel poco di vanità e di ingenuità che ci vuole.
Ho imparato da Chenu che il «pensare» è sacro: «è l’intellettuale che racchiude lo spirituale». Eppure, più di tutto, mi circonda ancora il grande calore comunicativo del padre Chenu. Era un uomo della speranza, un ottimista della grazia. Per questo era tomista fino in fondo.
Quando Chenu compì settant’anni, venne festeggiato alla presenza del cardinale Feltin. Questi lodò Chenu perché aveva accettato umilmente e senza disobbedire le sanzioni imposte da Roma. Chenu si alzò di scatto e disse: «Eminenza, non era obbedienza, perché l’obbedienza è una virtù morale piuttosto mediocre. Era la fede che avevo nella parola di Dio al cui confronto gli scontri e gli incidenti di percorso non sono nulla; è perché avevo la fede in Gesù Cristo e nella sua chiesa». Questo è Chenu: un uomo da amare.
Testo tratto dall’Appendice del libro: Edward Schillebeeckx, Sono un teologo felice. Colloqui con Francesco Strazzari, Introduzione di Rosino Gibellini, EDB, Bologna 1993.
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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)