13/09/2007
101. Il messaggio del papa a protestanti – e cattolici
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1. Una chiesa che non ha la perfetta pienezza

di Jared Wicks1



A luglio di quest’anno la Congregazione per la dottrina della fede ha riaffermato la dottrina secondo cui la chiesa di Cristo «esiste pienamente soltanto nella chiesa cattolica» . Il che ha spinto molte persone a chiedersi: «Che cosa c’è ancora?» o «Perché ora?».

Sì, il Vaticano affronta lo stesso tema discusso sette anni fa nella dichiarazione Dominus Iesus2 (2000) [in Enchiridion Vaticanum 19, Dehoniane, Bologna 2004, par. 1142s.]. Il testo risolutamente affermava il ruolo unico che Gesù Cristo ha per la salvezza e insisteva sul fatto che, quando il Vatican o II asserì che la chiesa fondata da Cristo e dallo Spirito Santo “sussiste” (subsistit in) nella chiesa, intendeva dire che la chiesa di Cristo «continua a esistere pienamente soltanto nella chiesa cattolica» [DI n. 16 (EV 19, par. 1182)], nonostante il fatto che molti elementi divini (della parola, del sacramento e del ministero) siano attivi al di fuori della struttura cattolica.

La Dominus Iesus ha formulato anche una famosa – per molti, infame – regola linguistica: gli organismi ortodossi e vecchio-cattolici vengono giustamente chiamati “chiese” perché hanno vescovi nella successione apostolica e una valida eucaristia sebbene non siano in comunione con il papa. Mentre quelli che discendono dalla Riforma, non avendo un episcopato di questo genere e celebrando un’eucaristia imperfetta, non sono per l’ecclesiologia cattolica chiese «in senso proprio» [DI n. 17 (EV 19, par. 1184)], ma sono – usando un termine del Vaticano II – «comunità ecclesiali».

L’aggettivo ecclesiale è tuttavia caricato di un peso teologico: sta ad indicare che gli elementi cristiani sono veramente posseduti da questi organismi; quantunque non in pienezza, lo Spirito Santo si serve di quelle comunità per portare la salvezza ai loro membri.

La risposta alla domanda del «perché ora?» si trova in larga misura nei dibattiti interni al mondo cattolico che si sono svolti in questi sette anni specialmente in Germania. Alcuni teologi cattolici tedeschi hanno obiettato che la Dominus Iesus stia capovolgendo il significato del subsistit in del Vaticano II, con cui è presumibile che il concilio iniziasse a muoversi verso il riconoscimento che la chiesa di Cristo è concretamente realizzata nelle chiese della Riforma. Essi hanno pure indicato che la regola imposta dalla Congregazione per la dottrina della fede, per cui queste ultime non sono chiese in senso proprio, non era sostenuta dai documenti del Vaticano II. Questi interventi sono stati raccolti in un libro dal titolo “Dominus Iesus”: Anstößige Wahrheit oder anstößige Kirche?, a cura di Michael J. Rainer, Lit, Münster 2001.

Le acque sono state intorbidate di nuovo dall’intervento, a partire da una diversa prospettiva, di Alexandra von Teuffenbach. Nella tesi di laurea presentata all’Università Gregoriana a Roma nel 2002 e rapidamente pubblicata, ella sosteneva che autore della frase subsistit in fosse Sebastian Tromp, segretario della Commissione dottrinale del Vaticano II. Tromp divenne noto negli anni Cinquanta per i suoi vasti scritti sull’enciclica di Pio XII Mystici corporis (1943) [in Enchiridion delle encicliche 6, Dehoniane, Bologna 1995, par. 151s.]. Il papa sosteneva che esiste una robusta e indifferenziata identità tra chiesa di Cristo e la chiesa cattolica romana. In questo modo, ha pensato la von Teuffenbach, se Tromp contribuì con la frase del subsistit in al Vaticano II, essa fu intesa non come un’apertura ecumenica ad un più ampio riconoscimento delle realtà ecclesiali al di fuori della chiesa cattolica ma come la riaffermazione dell’identità cattolica lungo le linee di Pio XII.

La tesi della von Teuffenbach fu ripresa in un articolo pubblicato alla fine del 2005 su L’Osservatore Romano da Karl J. Becker, gesuita, professore all’Università Gregoriana e consulente da lungo tempo alla Congregazione per la dottrina della fede («Subsistit in» [Lumen Gentium, 8]: un articolo di P. Karl Josef Becker, S.I., in L’Osservatore Romano del 5-6 dicembre 2005, 1, 6, 7. Origins ha pubblicato il medesimo articolo in inglese nel gennaio 2006). Per Becker, la restrittiva nozione di Tromp del subsistit in dovrebbe correggere coloro che prendono il termine come una mossa del Vaticano II verso il riconoscimento del significato ecclesiale nelle comunità separate. Inoltre Becker considera una svista della penna papale l’affermazione di Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint (1995) [in Enchiridion Vaticanum 14, Dehoniane, Bologna 1997, par. 2667s.] per cui gli elementi della chiesa di Cristo «si trovano e agiscono» [n. 12 (EV 14, par. 2687)] in comunità non cattoliche. (L’articolo di Becker è stato confutato nettamente da Francis A. Sullivan su Theological Studies nel giugno del 2006).


L’intervento della Congregazione per la dottrina della fede di questa estate (intitolato Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla chiesa) giunge nella scia di questa discussione sul significato del subsistit in ed è notevolmente conciso. Riafferma che il subsistit in indica la «perenne continuità storica e la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella chiesa cattolica, nella quale concretamente si trova la chiesa di Cristo su questa terra» (Secondo quesito). Ma sostiene anche le parole di Giovanni Paolo II sulla chiesa di Cristo che «si trova e agisce» nelle chiese e nelle comunità ecclesiali non in comunione con la chiesa cattolica. La perenne continuità storica di tutti gli elementi non assorbe completamente in sé questi mezzi di santificazione. Qui la Congregazione per la dottrina della fede certamente non segue la von Teuffenbach o il suo consulente Becker.

Allo stesso modo dopo aver affermato «la piena identità della chiesa di Cristo con la chiesa cattolica» (Terzo quesito) il testo va avanti citando il decreto sull’ecumenismo del Vaticano II sul significato e l’importanza degli altri organismi nell’economia di salvezza, dal momento che «lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di essi come di strumenti di salvezza» (ibid.). Comunque vada rispettata la regola linguistica, le “comunità ecclesiali” non sono per i cattolici associazioni filantropiche come i Rotary Club.

Il nuovo testo sottolinea molto succintamente ciò che venne detto nel 2000 sull’uso della parola chiesa, non riconoscendola come designazione propria delle «comunità [che] non hanno la successione apostolica nel sacramento dell’ordine, e perciò sono prive di un elemento costitutivo essenziale dell’essere chiesa» (Quinto quesito). Questa regola si fonda sulla definizione data dal Vaticano II della “chiesa particolare” come organo dei credenti affidati alla cura pastorale di un vescovo e uniti nello Spirito Santo dal vangelo e dall’eucaristia (Decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi nella chiesa, n. 11). Con ciò è permesso definire “chiese” in questo senso tecnico gli organismi ortodossi. Dal momento che la Congregazione per la dottrina della fede non riconosce l’episcopato e il ministero degli organismi protestanti, rifiuta loro di designarli come chiesa nel significato cattolico del termine ora sviluppato. Altri, al di là dello steccato cattolico, potrebbero parlare in modo diverso.

Ancora, l’insegnamento protestante, la vita e i ministeri sacramentali, sebbene siano invalidati agli occhi dei cattolici, in verità fondono insieme qualità derivate da Cristo e dalle chiese del Nuovo Testamento. Là dove tutti gli elementi sono attivi per formare e santificare, c’è apostolicità, come è affermato in uno studio recentemente pubblicato sul dialogo luterano-cattolico, che ha per titolo The Apostolicity of the Church, Lutheran University Press 2006.

Nella teologia cattolica, la “perenne continuità” con la chiesa di Cristo e lo Spirito Santo è strutturale e sacramentale, una continuità degli elementi di mediazione della parola, del sacramento e del ministero dati da Cristo attraverso i suoi apostoli. Di questi – dobbiamo ammetterlo – i cattolici spesso beneficiano in modo mediocre. Alla fine il vero punto tra protestanti e cattolici non è il vivere nel Signore con fede, speranza e carità, ma consiste nel pieno completamento di mediazioni, legate da un’alleanza, tramite le quali Dio viene a formare i credenti per il discepolato.




2. La vera chiesa
Un commento da parte protestante


Editoriale di The Christian Century



La chiesa cattolica romana recentemente ha riaffermato il proprio punto di vista per cui le chiese protestanti non sono «chiese in senso proprio», e questo ha offeso taluni membri di esse. Ma non ce n’è proprio bisogno. La parola chiesa nel linguaggio cattolico si riferisce a quegli organismi che hanno i vescovi nella successione apostolica e che riconoscono la presenza di Cristo nell’eucaristia. Questa affermazione non è rivolta in primo luogo ai protestanti ma a certi interpreti liberali e conservatori del Vaticano II (cf. l’articolo di Jared Wicks).

Il fatto è che molti protestanti non considerano la presenza reale di Cristo nell’eucaristia e che nessun organismo protestante (eccetto gli anglicani) insiste perché ci siano i vescovi nella successione apostolica. E poi i protestanti non accettano il primato del papa. In un certo senso, allora, il Vaticano ha semplicemente affermato ciò che è ovvio: i cristiani rimangono divisi – separati, tra le altre cose, da visioni diverse su ciò che è essenziale perché la chiesa sia tale.

I protestanti hanno i loro modi di identificare la chiesa nello stato attuale di divisione ecclesiale. Per le tradizioni luterana e riformata la chiesa è dove la Parola viene predicata opportunamente e i sacramenti sono amministrati con rettitudine. Wesleyiani e metodisti ricercano la presenza della santità personale e sociale come sigillo della vera chiesa. Le chiese dei credenti vedono la chiesa come l’assemblea di quanti hanno accettato la chiamata a seguire Cristo.

Nello stesso tempo, la maggior parte dei protestanti affermerebbe con Agostino (e contro i donatisti) che la chiesa esiste per grazia di Dio, a volte nonostante gli sforzi umani.

Parte della validità dell’istanza protestante è riconoscere l’ampiezza e il mistero dell’attività dello Spirito. Essi possono riconoscere che la chiesa è presente nei molti luoghi, in cui il vangelo è predicato, dove si sviluppa la santità nella forza dello Spirito, e Cristo è seguito come il Signore. I protestanti sono in grado di riconoscere tutto questo tra i nostri fratelli cattolici. Ironicamente, in questo senso i protestanti possono essere più “cattolici” dei cattolici.

La loro concezione della chiesa non permette ad alcuno di sfuggire alle domande che continuamente essa pone: siamo vere chiese? predichiamo il vangelo? stiamo seguendo il Signore nella potenza dello Spirito? stiamo predicando la buona notizia ai poveri? Ogniqualvolta e ovunque queste realtà avvengono, lì c’è chiesa e c’è da rallegrarsi.



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Note

1) Jared Wicks, gesuita, già docente di teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana di Roma insegna attualmente alla John Carroll University presso l’università di Heights nell’Ohio (Stati Uniti).

2) In
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