1/ Un uomo di convergenze
Samuel Ruiz (1924-2011), vescovo di San Cristóbal de Las Casas per quarant’anni (1960-2000), è stato un profeta, un testimone della fede del XX secolo. In lui sono confluiti molti avvenimenti: la partecipazione alle quattro sessioni del concilio ecumenico Vaticano II; l’inserimento nel mondo dei poveri, i maya del sudest messicano; gli avvenimenti ecclesiali di Melgar, Colombia (1968) e la conferenza dei vescovi latinoamericani a Medellín nel 1968 (alla quale ha partecipato come relatore); l’incontro di Xicotepc, Messico, nel 1970; il congresso indigeno del 1974 per celebrare i cinquecento anni della nascita di Fra Bartolomé de las Casas. In quel congresso, affidato dal governo del Chiapas a don Samuel e alla diocesi di San Cristóbal, i popoli indigeni della diocesi ebbero modo di dare espressione alle loro miserie e aspirazioni, alle loro sofferenze e potenzialità. L’anno successivo, don Samuel proclamò l’opzione per i poveri e disse:
«Facendo questa opzione, dobbiamo metterci in cammino; il cammino ce lo indica la risposta a due realtà: il povero, destinatario del vangelo, e il vangelo letto a partire dai poveri […]. Si tratta di un’opzione le cui conseguenze io valuto già da ora: credo che tutti quanti le valutiamo fin da questo momento» (I Assemblea diocesana, 1975).
jTatic1 Samuel ha vissuto tutto il dramma dei quarantamila rifugiati guatemaltechi nella sua diocesi, e insieme agli operatori pastorali diede loro una risposta organica e permanente, mettendo a loro disposizione la sua diocesi. In questa dura esperienza si sarebbe forgiato lo spirito di solidarietà di centinaia di catechisti e servitori delle comunità, ed è stato anche un apprendistato all’incontro con altre culture del mondo maya guatemalteco.
Testimone privilegiato del cammino della chiesa latinoamericana, a partire dal fatto di poter accompagnare da vicino gli indigeni del Chiapas, del Messico e del resto del continente, jTatic ha saputo discernere i segni dei tempi e interpretarli adeguatamente, insieme con la diocesi di San Cristóbal.
Con il suo gruppo di lavoro si è impegnato a dare vita, pur con discernimento, all’inculturazione del vangelo, alla nascita della chiesa autoctona con i suoi ministeri specifici (per esempio il diaconato indigeno permanente), alla traduzione della Bibbia in varie lingue, ai catechisti. Più di una volta alzò la voce per denunciare le ingiustizie e i maltrattamenti di cui erano vittime gli indigeni del Chiapas. La sua era una voce accompagnata da una testimonianza personale incontestabile. Tutto questo gli procurò autorità morale, all’interno e all’esterno dell’ambito ecclesiale, dentro e fuori il Messico.
Espressione di questa preoccupazione per la difesa degli indigeni è stata la creazione del Centro per i diritti umani «Fray Bartolomé de las Casas» che egli diresse fino al giorno della morte.
Nel 1994 scoppiò il conflitto tra l’Esercito zapatista di liberazione nazionale e il governo, e don Samuel venne subito sollecitato come mediatore durante il conflitto onde raggiungere la pace. Per questo lavorò, insieme a un gruppo di distinte personalità, alla Commissione nazionale di intermediazione, di cui divenne presidente. Don Samuel fu il mediatore autorizzato dalle parti in conflitto.
Don Samuel convocò il III Sinodo diocesano nel 1995, in piena guerra contro gli insorti del Chiapas. Terminato nel 1999, quel Sinodo era destinato a contrassegnare la diocesi nelle sue scelte e linee pastorali fino al giorno d’oggi. Lì sta il volto della chiesa come strumento al servizio del regno di Dio.
Il profilo che andò acquistando la diocesi di San Cristóbal de las Casas fu quello di una chiesa autoctona, con un suo proprio volto; una chiesa liberatrice, coinvolta nella storia di sofferenze del popolo; una chiesa evangelizzatrice che proclama un vangelo di vita e di gioia in mezzo a tanto dolore; una chiesa serva, con più di ottomila catechisti e più di trecento diaconi indigeni sposati; una chiesa di comunione, con strutture di autentica partecipazione delle donne, dei laici, delle religiose, dei religiosi e dei sacerdoti. Tali strutture sono: l’Assemblea diocesana, istituita nel 1975; il popolo credente che ha lottato per la giustizia e i diritti dei popoli maya e campesinos meticci; le sette équipe pastorali per discernere e segnare il cammino pastorale in ciascuna regione culturale.
Si tratta di una chiesa docile e aperta allo Spirito, disposta a discernere i segni dei tempi. A tutto questo va aggiunto l’impulso che don Samuel diede alla nascita e alla crescita della teologia india, al dialogo ecumenico e interreligioso.
2/ Un uomo di Dio
Che c’è dunque di eccezionale in don Samuel Ruiz? Sono forse le linee di pastorale alle quali diede impulso, come l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, la promozione della donna, la difesa dei diritti umani, la lotta per la giustizia, la promozione dei catechisti, dei diaconi indigeni sposati, della teologia india, della nascita e crescita di una chiesa autoctona, la promozione degli indigeni perché nella chiesa e nella società fossero realmente soggetti, e non meramente oggetti dell’evangelizzazione e della promozione sociale?
Tutto questo, senza alcun dubbio, ma rimane sempre la domanda: che c’è di eccezionale in don Samuel? La risposta non può essere altro che egli fu un uomo di Dio, un credente nel Dio della vita, nel Dio di Gesù di Nazaret, che non ebbe altro scopo né altro impegno che il regno di Dio. Il suo motto episcopale lo esprime benissimo: «Edificare e piantare». Questa è stata la sua predicazione, questa è stata la sua azione: piantare il regno di Dio e la sua giustizia impegnandosi con tutte le proprie forze e con tutta la propria saggezza e umiltà.
Questa esperienza di essere uomo di Dio e questa chiaroveggenza – davvero stupefacente – nell’incidere nella storia per impiantarvi il regno di Dio spiegano tutti i conflitti che dovette affrontare, tanto nella società, quanto con il governo e persino, all’interno della chiesa, con i suoi fratelli vescovi. Semplicemente, era diversa la prospettiva. Un uomo di Dio, un Credente con la maiuscola, un profeta, vede le realtà storiche da una prospettiva diversa e di conseguenza è incompreso da molti.
Di questa croce don Samuel poté avere un assaggio, sul piano personale, in non pochi attentati mortali che ebbe a subire, nonché in svariate incomprensioni e calunnie. Ma portò questa pesante croce anche in qualità di pastore, vedendo che molti dei suoi collaboratori pastorali venivano espulsi dal paese, incarcerati, intimiditi, assassinati, come i quarantacinque martiri di Acteal nel 1997, diversi dei quali erano catechisti.
Quando delle persone chiedevano a don Samuel, di fronte alle numerose calunnie e molestie che riceveva, se aveva dei nemici, egli rispondeva tranquillo: «Io non ho nemici. Se vogliono essere cattivi amici, è perché hanno una prospettiva diversa».
In jTatic don Samuel, Dio ha regalato alla sua chiesa e al mondo un profeta, un saggio e umile servitore dei poveri, un appassionato lottatore nella costruzione del suo Regno. Grande è l’eredità che egli ci lascia e che dovrà rimanere viva come memoria nella chiesa latinoamericana e in altre latitudini.
Note
1) jTatic (laddove j significa “nostro”, e Tatic “padre”) esprime tenerezza in lingua maya tseltal.
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