02/09/2005
55. «Dobbiamo essere più incisivi» Intervista con il card. Lehmann di Thomas Schmid
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Presentiamo il testo dell’intervista del card. Lehmann, apparsa sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, uno dei più noti giornali della Germania. Il card. Lehmann è teologo e presidente della Conferenza Episcopale Tedesca. L’intervista è stata pubblicata nelle scorse settimane, in occasione dei primi cento giorni di pontificato di Benedetto XVI.


– Il fatto che Joseph Ratzinger sia diventato papa è stato per il card. Meisner di Colonia unmiracolo a cui avrebbe dato una mano Giovanni Paolo II. Anche Lei vede le cose in questo modo?

Io vedo soprattutto che il card. Ratzinger aveva delle premesse ideali. Da 23 anni era a Roma, ossia, se teniamo conto della sua presenza al concilio, fanno 40 anni di esperienza nella chiesa universale. Ed era forse l’unico cardinale ad avere un influsso reale su Giovanni Paolo II. Inoltre, è un eminente teologo, i cui libri sono tradotti in diverse lingue. E non è stato certamente un caso che i “vaticanologi” della stampa italiana, già prima del conclave, abbiano scritto che per Ratzinger erano comunque sicuri da 40 a 50 dei 115 voti. Per quanto riguarda la sua domanda, se è stato un miracolo, io mi sono stupito soprattutto di una cosa: che nell’elezione le questioni della nazionalità, del colore della pelle e così via… non hanno avuto alcun ruolo.

– L’elezione di un tedesco – una decisione universalistica?

Sapevo, naturalmente, che siamo chiesa universale. Ma sperimentare in forma così concreta che la rottura avvenuta con l’elezione di Giovanni Paolo II, 26 anni prima, avrebbe avuto effetti così duraturi – questo non avrei osato sperarlo.

– “Noi siamo Papa”, è stato il titolo del giornale Bild dopo l’elezione di Ratzinger.Dobbiamo andarne orgogliosi?

Un’abile formulazione di un giornale scandalistico. Ciononostante, mi sono arrabbiato. A Roma ho pensato: per il fatto che un tedesco è diventato papa, bisogna subito esordire in questo modo? Benedetto XVI, però, ha reagito con signorilità: nei suoi primi interventi non ha parlato tedesco. Benedetto è stato accolto in Italia molto bene. Giorni prima era ancora chiamato “il grande inquisitore”, oppure “il cardinale Panzer”, ma quando, non appena eletto, fu salutato con entusiasmo, ho chiesto a due amici cardinali italiani: com’è possibile, da voi, un cambiamento così rapido? Mi hanno risposto: È chiaro, per noi il papa è di famiglia.

– Giovanni Paolo II manifestò una certa caparbietà. Benedetto XVI sarà più liberale?

Non lo credo, e sarebbe anche un falso segnale. Entrambi sono affini nel fatto che - anche sullo sfondo dell’esperienza avuta con il comunismo e il nazismo – nelle cose che riguardano la fede non sono disposti a dei compromessi. Certamente è un compito gigantesco, proprio volendo sottolineare la risolutezza, proteggere la fede dallo scivolare nel fanatismo e nel fondamentalismo. È pur sempre una tentazione non voler apparire debole e perciò mostrare all’esterno una rigidità conservativa. A questa tentazione uno come Benedetto XVI sicuramente non cederà.

– Benedetto, diversamente dal suo predecessore, è un importante teologo. Che cosasignifica questo per il suo ministero?

Per come lo conosco, cercherà di affrontare tutti i problemi alla radice - non si perderà in cose marginali…

– … quali sarebbero le ‘cose marginali’?

Prendiamo l’etica sessuale. In questo campo egli ha più volte confermato la dottrina della chiesa, ma non ha mai parlato di kondom, sebbene, è ovvio, ne rifiuti l’uso.

– Ratzinger dirigeva la Congregazione per la dottrina della fede, Benedetto guida il tutto.Questo darà una diversa direzione alle sue decisioni?

In quanto papa, Ratzinger può ora procedere con molta maggiore libertà. Posso immaginare che si pronuncerà ad esempio sul terrorismo, sulla politica europea, anche riguardo alla Turchia. Ma si esprimerà anche sulla globalizzazione e sui problemi che essa comporta. Qui la dottrina sociale cattolica presenta ancora delle lacune.

– Benedetto fustigherà come il suo predecessore l’egemonia del pensiero economico?

Lo penso. Qui, come in altri ambiti, ci sarà una grande continuità di contenuti. Lo stile sarà diverso.Benedetto, però, è capace anche di sorprendere, egli affronterà alcuni compiti nuovi. Penso, ad esempio, al rapporto con la Cina. In questo ambito ci sono stati continui tentativi, da parte di Giovanni Paolo II, di giungere ad un certo accordo con chi detiene il potere. Ritengo probabile che Benedetto cercherà energicamente di migliorare la situazione dei cristiani nella repubblica popolare cinese. È pensabile un movimento anche nelle relazioni con la chiesa ortodossa russa di Mosca.

– Queste, però, sono ancora congelate.

C’è un certo irrigidimento. Ma qualcosa sta muovendosi. Inoltre, gioca anche il fatto che la chiesa russa ha avuto, con un papa polacco, più difficoltà di quanto avverrà con un papa tedesco. Il ghiaccio sta sciogliendosi.

– Si può pensare che Benedetto XVI visiti Pechino e Mosca?

Per Mosca, io vedo delle buone possibilità. Per Pechino, potrebbe accadere, ma qui non oserei fare alcuna prognosi. È piuttosto un sogno.

– Una persona che ha peso in Vaticano, il cardinale Ruini, vuole che la chiesa combatta in maniera più decisa nel mondo laicista per una egemonia culturale. Anche Lei lo vuole?

Mi sono pronunciato da tempo in questa direzione. È stato un bene essere diventati capaci di dialogo e aver imparato ad essere tolleranti. È stata cosa buona essere diventati un partner da prendere sul serio nel discorso sociale, a rischio che il denominatore comune diventasse sempre più piccolo e che lo specifico, ciò che è proprio della chiesa, minacciasse di scomparire. Ora dobbiamo marcare con maggior forza le nostre proprie posizioni e tornare ad essere più incisivi – di modo che “non tutti i gatti, nella notte, siano ugualmente grigi”.

– Concretamente?

Maggior chiarezza in alcune questioni dell’annuncio della fede: nel confessare il Dio personale e Gesù Cristo quale “Figlio di Dio”, e anche nelle questioni dell’aborto e dei matrimoni tra omosessuali. Qui le nostre posizioni sono chiare, forse però, per qualche tempo, non le abbiamo sostenute con abbastanza energia.

– La chiesa ha un problema di mancanza di preti. Non dovrebbe forse, a causa di ciò, comepure per ragioni più profonde, riconoscere maggiore competenza ai laici?

È una questione importante, che però non si dovrebbe considerare dal punto di vista della carenza di preti. In Germania esiste da decenni un forte movimento di laici. Ci sono le nuove professioni ‘pastorali’, ad esempio i ‘Referenti pastorali’, e non ci si dimentichi dei diaconi permanenti sposati, presenti fin dal concilio Vaticano II. In tal modo abbiamo visto molte più persone, rispetto a prima, impegnate nella pastorale. Nella diocesi di Magonza sono tra le 900 e le 1000.

– Una donna referente pastorale non può però amministrare l’unzione degli infermi ad unmoribondo. Questo svaluta il suo lavoro.

È un problema vero. Dietro ad esso non si nasconde certo, in primo luogo, un problema dogmatico: la decisione del concilio di Trento è stata la parola ultima? Si dovrà dire che finora non esiste una interpretazione convincente secondo la quale il potere di amministrare il sacramento della unzione degli infermi possa essere concesso, oltre al prete, ad altre professioni pastorali. Il problema vero a me sembra un altro: la mancanza di collaborazione tra preti e altre professioni pastorali. Ci sono dei preti che fanno diventare privilegio che li contraddistingue il fatto che solo loro possano amministrare l’unzione degli infermi. Questo non è lecito. Sono sempre stato del parere che dei laici che hanno accompagnato degli ammalati per lungo tempo debbano essere coinvolti e resi partecipi, per la parte che loro spetta, nella celebrazione del sacramento della unzione degli infermi.

– Che cosa è più urgente di questo problema?

La nuova attenzione alle questioni relative a matrimonio e famiglia. Qui è importante la questione di come si trattano le persone che escono da relazioni fallite: quale posto devono avere nella chiesa? Non si può ridurre il problema al permesso di accedere alla comunione. Ogni generazione deve riscoprire il significato del matrimonio. E la chiesa deve fare di più di quanto ha sinora fatto perché questo avvenga.

– Il filosofo della religione Rémi Brague ha detto, in maniera concisa: “Se i cristianiperdono del tutto la paura di imborghesirsi, allora il sale della terra ha irrevocabilmente perduto il suo sapore”.

Molto bene. Questo è, all’origine, biblico. Sono lieto che ci siano di continuo dei movimenti spirituali innovativi. In Francia e Spagna di sicuro più vivaci che qui.

– E la paura di imborghesirsi?

Da sola non basta. Dobbiamo mettere in atto resistenza ed essere coerenti nelle decisioni fondamentali della vita, quando dobbiamo anche contrapporci alle tendenze della società. Questo, per me, va dalla fedeltà nel matrimonio, passando per i problemi della giustizia tra le generazioni, fino alla veracità nella politica. Oppure anche, del tutto semplicemente, avere il coraggio di professare: io credo nella vita eterna.

– Molti giovani accolgono con gioia personalità di orientamento conservatore, comeGiovanni Paolo II, o Benedetto XVI. Corrono di qua e di là, ma allo stesso tempo a pancia nuda, con dei vistosi tatuaggi e, per dirlo con Pasolini, totalmente presi dal consumismo. Una contraddizione?

Così vanno le cose, è evidente, nella vita reale. Le ragazze in Piazza S. Pietro, che fanno festa al papa, hanno la pillola nello zainetto: lo sappiamo da tempo. Giovanni Paolo II aveva un grande carisma, che prendeva anche i giovani. Riusciva ad avere un incomparabile contatto diretto. Non so se questo accadrà anche a Benedetto. Il nocciolo del successo di Giovanni Paolo II con la gioventù stava nel fatto che egli diceva senza se e senza ma: Abbiamo fiducia in voi, crediamo che anche voi siete in grado di costruire il futuro. Lui è stato capace di diffondere fiducia. Questa è un bene molto prezioso.

– Wolfang Böhmer, primo ministro della Sassonia-Anhalt, ha concisamente detto che lechiese dovrebbero, per favore, diffondere fiducia e non tematizzare continuamente problemi.

Io la vedo un po’ diversamente: L’una cosa non esclude l’altra. Non parlo di ottimismo, ma di fiducia. Una speranza motivata è per me qualcosa di fondamentale. Comunicare questa speranza è il compito principale della chiesa. Qualora non fossi più in grado di farlo, dovrei ritirarmi. Sarebbe però fatale non chiamare per nome anche gli ostacoli che sono di impedimento alla fiducia. Anche quelli di tipo sociale.

– Tutti i partiti si occupano di congiuntura, sistema fiscale, perdita di valore dei salari. Peril gran parlare di sviluppo non si perde di vista il cambiamento che sarebbe necessario e che molti anche si augurano?

Questo cambiamento è amaramente necessario, è richiesto da tempo. E si sono fatti anche dei tentativi. Ma poi, come si dice nel vangelo, arriva sempre il sole torrido, e tutto presto si secca. Manca soprattutto ogni attendibile continuità, anche nei partiti. Tuttavia, non ne verremo a capo continuando a chiederci che cosa, propriamente, tiene insieme la società. Diversamente salteremo in aria, forse in maniera più esplosiva che con le bombe del terrorismo.

– I partiti ne sono capaci?

Si fanno dei tentativi, ma poi si arenano rapidamente di nuovo. Ricompaiono di continuo, anche ora, degli atteggiamenti che credevo fossero già superati.

– Ad esempio?

Molte proposte, di tassare più pesantemente i ricchi e i patrimoni ereditari, si radicano apertamente in un complesso di invidia. Ora, io stesso credo che l’invidia, come riteneva il sociologo di Magonza Helmut Schoeck, è una grande forza sociale. L’invidia è avida. Non è bene che si diffonda un sentimento del genere. Trovo insopportabile pure l’immobilità con cui spesso si reagisce alla trasformazione dello stato sociale. Eppure è tanto semplice: lo stato sociale va ristrutturato perché possa essere conservato, questo sarà un processo che creerà disagi. Per questo occorre fiducia, audacia e risolutezza. Ma dappertutto, nella società, è diffusa una massiccia e pesante mentalità legata al possesso. Purtroppo anche ‘in alto’. Anche le chiese non sono risparmiate.

– Un partito che non promette nulla e che prospetta una via irta di difficoltà, avrebbequalche possibilità di riuscita?

Una opportunità dovrebbe averla. I partiti tendono a sottovalutare la gente. Molti sanno, per ricordo ancora vivo, come i loro padri e i loro nonni , dopo il 1945, vivessero poveramente e che cosa essi hanno creato, prodotto. Si crede seriamente che alla gente di oggi non sia possibile chiedere nulla? Chi agisce in questo modo non fa per nulla il bene della gente, non le rende giustizia.

– L’uomo “non può disprezzare cinicamente il mondo, ma neppure deve affidarsitotalmente ad esso”. Conosce questa citazione?

No, ma la condivido…

– È sua. Lei l’ha scritta nel 1955, all’età di 19 anni. Donde veniva questa precoce saggezza?

Mi è difficile rispondere. Forse non è affatto una saggezza mia. Ho sempre letto molto. Oggi posso soltanto dire: per me è molto importante che non si idolatri il mondo e la terra, che non li si assolutizzi e non li si faccia diventare degli idoli. Fa parte delle tentazioni che anche Gesù ha vissuto di persona: avere potere, fascino, influenza sugli altri. Se si resiste a queste tentazioni, si può amare la terra e le persone assai più di quando li si idolatra. Allora si è anche in grado di averne cura e, per gran parte, anche di risparmiarle. La tradizione gesuitica di Ignazio di Loyola mi ha segnato molto. E in essa è molto importante il “Deus sempre maior”, il fatto che Dio è sempre più grande, mi trascende sempre. L’atteggiamento che preferisco è questo: “cercare Dio in tutte le cose”. Oggi significa: si è impegnati, si è capaci di dedizione, ma si sa anche che questo non è “la cosa ultima”. E si sa pure che un giorno da questo si dovrà prendere congedo. Perciò abbiamo anzitutto bisogno di essere sereni e rilassati.



© 2005 by Frankfurter Allgemeine Zeitung
(pone le domande Thomas Schmid)
Traduzione dal tedesco di Gianni Francesconi

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Forum teologico, a cura di Rosino Gibellini
Editrice Queriniana, Brescia (UE)
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