09/05/2003
20. «C'è speranza per la fede?» Annapaola Laldi su un recente libro del teologo e psicoterapeuta Eugen Drewermann
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Di Eugen Drewermann, autore molto letto in vari ambiti linguistici, sono stati recentemente pubblicati due libri presso l’Editrice Queriniana nella collana Nuovi Saggi, e cioè “C’è speranza per la fede? Il futuro della religione all’inizio del XXI secolo” (2002); e un libro intervista “Religione , perché? Trovare un senso in tempi di bramosia di potere di guadagno” (2003), che può essere considerato una sintesi del suo pensiero.
Annapaola Laldi, che ha tradotto dal tedesco in lingua italiana molte delle sue opere e conosce bene il pensiero di Drewermann, presenta in questo intervento alcune riflessioni di Drewermann sul futuro del cristianesimo e della religione nel XXI secolo.



L'urgente interrogativo, che il teologo e psicoterapeuta tedesco Eugen Drewermann pone in questi suoi due ultimi libri, diventa ancora più incalzante e attuale in questa primavera del 2003, sullo sfondo dei fatti tragici che stanno avvenendo nel mondo.
Siamo davvero allo “scontro delle civiltà” (fra cristianesimo e islam) ipotizzato una decina di anni fa da Samuel Huntington? Stiamo assistendo a una pericolosa accelerazione dell'imposizione dello stile di vita occidentale sul pianeta? Ma quali saranno gli effetti dell'incontrollabile crisi di identità dei popoli interessati? Esiste un'alternativa all'omologazione imperante? E in tutto questo, che ne è della natura, a cui dobbiamo la vita? Che ne è delle persone, di noi stessi, della nostra coscienza e responsabilità? Che ne è di Dio?

Domande del genere, che non possiamo evitare di porci, anche con angoscia, nel momento attuale, sono presenti nel libro di Drewermann, e, anzi, costituiscono proprio come la sinopia dell'affresco in cui Drewermann delinea la fisionomia della “religione del futuro”.

In primo luogo, egli scrive, «le religioni, che finora sono servite per distinguere e separare grandi gruppi umani….. dovranno sempre più considerarsi come contributi parziali al dialogo e all'invito a una umanità in sé riunificata», scoprendo di non essere le uniche detentrici dello spirito di umanità, ma «semplicemente in cammino su differenti sentieri verso quest'unica meta: in questo carattere di sentiero sta la loro limitata validità, in questa meta comune il loro illimitato valore».

Il secondo tema centrale delle religioni Drewermann lo individua nella unità dell'essere umano con la natura circostante: «Non il distacco dell'essere umano dalla natura, quale da 8000 anni a questa parte, dal Neolitico ai nostri giorni, ha determinato il percorso della religione, varrà come fondamento dell'autocoscienza religiosa, ma piuttosto cultura e natura dovranno essere condotte a una unità sostenibile, e sarà la religione che dovrà produrre l'apparato simbolico e concettuale appropriato per una tale integrazione». Di fronte alla monetizzazione di ogni cosa sulla terra (mari, foreste, animali, persone), «solo una ripresa di coscienza religiosa», afferma Drewermann, «sarebbe in grado di impedire la svendita del mondo e di relativizzare, anzi, di superare, il principio del mercantilismo per mezzo di un'autentica evidenza del valore delle cose e degli esseri viventi».

Infine, «sembra che in futuro possa essere degna di fede solo una religione che si metta di fronte alla 'natura interiore' dell'essere umano con una forza integrativa anziché con l'ansia della rimozione e la scissione moralizzatrice».

In realtà, per Drewermann, quello terapeutico è e resta il compito principale della religione, con il suo immediato corollario, l'importanza fondamentale dell'individualità, perché «la guarigione può verificarsi soltanto nel singolo individuo, non in popoli, stati, chiese o confessioni…». Come, del resto, «soltanto i singoli individui sono in grado di risanare con la loro esistenza».

Ed è proprio con la «premura terapeutica», quale Gesù ha praticato e vissuto, accogliendo alla sua mensa i «peccatori», cioè, per dirla con Kierkegaard, i disperati, che questo libro prende le mosse, mostrando, poi, con esempi concreti, quanto sia importante, per capire fino in fondo questo aspetto di Gesù, andare a scuola anche dal Buddha, anche da Lao Tzu. E anche da Maometto, oltre che da Elia e Geremia, per capirne meglio la natura di profeta. Ancora con Gesù si chiude questa appassionata scommessa sul futuro della religione (ma il futuro non è già oggi?) - prima di un glossario di 14 voci in cui l'autore spiega cosa intende quando parla di resurrezione, miracoli, creazione, ecc.

E questa volta è il Gesù che, per parlare di Dio, «si rifiuta di usare il linguaggio degli interpreti della legge e dei sacerdoti», ma usa un modo «che invita anziché escludere, che allarga anziché restringere, che rimette in piedi anziché mettere in riga», un modo «essenzialmente poetico, dal momento che egli plasmava delle immagini e delle scene che erano in grado di risanare» e che proprio per questo rendevano esperibile l'avvento del regno di Dio.

«Il futuro della religione», conclude Drewermann, «… non appartiene più ai funzionari di un Dio stanco e sonnolento; appartiene solo a chi osa: ai profeti, ai terapeuti, ai poeti, e la religione diventa vera nell'istante in cui questi tre aspetti della realtà umana si incontrano in una stessa persona: il profeta, che collega la persona alla potenza che permette di trovare l'umanità in mezzo a un mondo disumano, il terapeuta, che collega la persona con la natura interiore, e il poeta, che apre la persona alla bellezza e alla grandezza della natura esterna».


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