Pochi sanno che a coniare il termine «teologia» non sono stati i cristiani ma Platone nella sua Repubblica (n. 379a), ove considerava la theologhia, cioè il "discorso" o l'indagine su Dio, come una delle mete di ricerca non solo del pensiero ma anche dei «versi epici o lirici o dei testi della tragedia». Il suo discepolo Aristotele nella Metafisica (n. 1026a) articolerà meglio il tema, mettendo la teologia al vertice delle scienze "contemplative" (in greco theoretikai), cioè la matematica, la fisica e appunto la teologia. È su questa base che il vocabolo entrerà nella tradizione cristiana: nel Nuovo Testamento abbiamo, infatti, solo i due anelli che compongono la parola ma non congiunti tra loro: da un lato, théos, «Dio», citato ben 1317 volte, e logos, «discorso», presente 330 volte.
Questa premessa filologica vuole inquadrare il rimando a una solida e duratura collana dell'editrice bresciana Queriniana il cui titolo è emblematico: «Biblioteca di teologia contemporanea». Essa fu inaugurata nel 1969 col saggio di un autore nato in Baviera nel 1928 e allora docente a Münster, Johann Baptist Metz, Sulla teologia del mondo, apparso in tedesco l'anno prima. L'opera, che rifletteva l'atmosfera socio-culturale e non solo ecclesiale di quel periodo, divenne una sorta di manifesto della cosiddetta "teologia politica", preoccupata di calibrare meglio il rapporto tra la Chiesa e il mondo, tra la fede e il divenire storico, nella consapevolezza che «la salvezza, a cui si riferisce nella speranza la fede cristiana, non è una salvezza privata». Cristo stesso non si era auto-recluso nell'intimo del suo incontro col Padre, né si era isolato nell'oasi protetta del sacro, ma si era immerso e incarnato nella realtà storica e sociale.
Da quel volume è discesa una genealogia bibliografica contrassegnata da una costante identità anche grafica e cromatica ma soprattutto aperta a tutte le voci più importanti, significative o anche provocatorie del fecondo arco post-conciliare. Tanto per fare qualche nome, pensiamo a Bonhoeffer e a Ratzinger (la sua Introduzione al cristianesimo ebbe un numero enorme di riedizioni, anche prima della sua ascesa al pontificato), a Moltmann, a Küng, a Pannenberg, a Congar, a Bultmann, a Kasper, Drewermann, von Balthasar, Boff, Gutiérrez, Brown, Meier e così via. Si ha, così, un vero e proprio panorama della riflessione teologica contemporanea, anche con l'incursione recente di figure minori rispetto a quelle appena elencate, segno forse di un affanno in cui si dibatte l'attuale ricerca teorica cristiana.
Ora la collana sta veleggiando verso i duecento titoli: tra gli ultimi segnaliamo la trilogia dei numeri 189, 190 e 191 che toccano temi segnati da un'impronta di originalità. Basta la titolatura del primo, Vangelo e Provvidenza, a rispolverare un vocabolo in passato trionfante non solo nella predicazione ma anche nella retorica apologetica popolare, una realtà ora sostituita dalla ben più realistica "previdenza". Emmanuel Durand, domenicano francese docente a Ottawa in Canada, mostra la complessità della categoria "provvidenziale" che comprende una vera e propria ermeneutica dell'azione di Dio nella storia, tipica di una religione "incarnata" com'è il cristianesimo. È su questo terreno che ci si scontra col tema del male: esso si erge come un picco roccioso che perfora il manto paterno di una Provvidenza divina ma che si combina con l'intervento della redenzione, della salvezza e dell'escatologia. Le lezioni di tre grandi della teologia come Agostino, Tommaso d'Aquino e Newman sono convocate per ripensare una concezione impallidita all'interno di una cultura smaliziata che, nel desiderio di buttar via l'acqua sporca del provvidenzialismo ingenuo, ha rigettato anche il canone clelIa speranza, della fiducia e del senso dell'essere e dell'esistere.
Passiamo, così, al secondo saggio, affidato a un tema in passato divisivo per la cristianità, al punto tale d'essere stato il germe dello scisma d'Occidente, quello luterano. Alla "giustificazione per grazia" sulla base della lezione paolina si dedica, invece, uno dei nostri più noti studiosi dell'Apostolo, Antonio Pitta, docente nella romana Università Lateranense. Certo, a differenza del soggetto "Provvidenza", la "giustificazione" è un termine che risuona più familiare ai nostri giorni, anche per coloro che hanno solo una conoscenza generica delle vicende che contrassegnarono un secolo straordinario come il Cinquecento. Ritornare alla matrice, cioè all'epistolario di Paolo, permette non solo di delineare il progetto d'insieme, ma anche di inseguirne la formulazione progressiva. Infatti, dalla "prova d'autore" che è la Lettera ai Galati, ove la giustificazione è connessa al motivo della nostra adozione divina a figli, ci si inoltra nel capolavoro paolino della Lettera ai Romani, il vessillo della Riforma protestante ma anche il cuore della questione, e si approda alla Lettera ai Filippesi ove il tema si configura come processo di conformazione e trasformazione del credente in Cristo. È indubbio il corollario ecumenico che comporta una simile investigazione esegetica, non solo per le antiche polemiche tra Agostino e Pelagio nel V secolo, per le tensioni radicali tra il cattolicesimo e Lutero o Calvino, ma anche per la vigorosa ripresa del tema nella teologia dialettica di Barth (la cui Lettera ai Romani è curiosamente ancora in catalogo da Feltrinelli).
Sorprendente è, fin nel titolo, l'ultimo saggio del nostro trittico: Grazie all'immaginazione, opera del gesuita parigino Nicolas Steeves, docente alla Gregoriana di Roma. Essa è stata considerata a lungo la folle du logis, la "pazza di casa", una formula attribuita ora al filosofo Malebranche, ora a Teresa d'Avila, ma di paternità ignota. Certo è che per molti teologi l'immaginazione è stata ritenuta una sorta di nebula da spazzar via col vento cristallino della ragione, del rigore epistemologico, della logica formale. Il tentativo di questo ampio studio è quello, invece, di integrarla proprio nella teologia fondamentale che è la base su cui si regge e si edifica l'architettura dell'intero sistema teologico nelle sue varie articolazioni. Effettivamente la stessa Bibbia(si pensi solo all'Apocalisse)così come la tradizione cristiana si sono liberamente e gioiosamente consegnate al caleidoscopio delle immagini, dei simboli, delle parabole fecondando e alimentando l'atto di fede, la spiritualità, la liturgia, l'etica. Le pagine di Steeves sono una vivace navigazione in questo mare creativo nel quale si incastonano le grandi isole dei molteplici sistemi teologici bagnati da quelle onde. Dopo tutto – come conferma, purtroppo negativamente, l'eccesso immaginario contemporaneo aveva ragione Bachelard quando affermava nella sua Poetica della reverie (Dedalo 2008) che «l'uomo è un essere capace di immaginare e che va immaginato».
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