Christophe Boureux ha da poco pubblicato per i tipi di Queriniana un’opera teologica di grande impegno sui temi della creazione e del creato. Dove offre degli spunti estremamente stimolanti per dare una profondità biblica e cristologica alla riflessione sul tema. Riportiamo qui di seguito lo stralcio di un’intervista concessa dal domenicano francese al settimanale cattolico La Croix al momento del lancio del libro. Dalle sue parole emerge il taglio specificamente cristico con cui entrare da credenti nel mistero della creazione. Ci sembra il modo migliore per guardare alla celebrazione della I Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, istituita da papa Francesco. Nelle intenzioni originali, la giornata vuole infatti sottolineare la nostra vocazione di custodi del creato, e vuole farlo «con una preghiera di ringraziamento a Dio per l’opera meravigliosa che egli ha affidato alla nostra cura».
Nel suo nuovo libro, lei parla del “teologo-giardiniere”. Da dove proviene questa qualifica?
Da un’esperienza personale. Ero maestro degli studenti al convento domenicano di Lille e mi occupavo del giardino della comunità. Un giorno il cuoco fece su di me questa considerazione ad alta voce: «In lei convivono due personaggi: da un lato il docente, dell’altro il giardiniere». In un primo momento sono rimasto scioccato, ma il cuoco della comunità aveva visto bene. Il teologo e il giardiniere sono in effetti due lati del mio carattere, compresenti in me, che da allora cerco di conciliare. Fare giardinaggio mi aiuta a riconciliare le due teste, le due mani, mi libera dalla tensione generata dalla concentrazione che è necessaria per qualsiasi lavoro intellettuale.
La figura del giardiniere è anche molto presente nella Bibbia. Che significato può avere?
Cristo risorto appare come giardiniere a Maria Maddalena. Riprende la figura di Dio che stabilisce un giardino in Eden all’atto della creazione del mondo, un giardino poi affidato all’uomo. In quei due momenti fondamentali – nella creazione e nella risurrezione – l’uomo si trova dunque collocato in un giardino, ed è lì che viene chiamato a rispondere a Dio. In qualche modo, l’uomo che risponde a Dio è anzitutto un giardiniere.
Perché l’uomo collocato proprio in un giardino?
Il giardino è il luogo della convivialità universale. Quando c’è un giardino, la gente si ferma ad ammirare e comincia il dialogo. Tra giardinieri ci scambiamo le piante… Ma, se vogliamo guardare ancora più in profondità, il giardiniere lavora a questa convivialità: fa in modo che nel giardino ogni pianta ottenga la sua collocazione, abbia spazio, ombra, nutrimento a sufficienza; è come il direttore d’orchestra che realizza questo ordinamento. In tal modo, il giardiniere è anche l’annunciatore della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo, dell’ordinamento finale di tutto il creato. A contatto con la terra, il giardiniere partecipa alla realizzazione della profezia di Isaia che annuncia la piena riconciliazione per tutte le creature e la possibilità per loro di vivere insieme: «Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto…» (Is 11,6-9).
Allora, come mai Adamo ed Eva furono espulsi dall’Eden?
Mangiando il frutto che era loro proibito, hanno cortocircuitato tempo del lavoro, tempo della maturazione, tempo della produzione. Hanno rifiutato il ritmo lento che le piante hanno. Eppure Dio aveva chiesto loro di prendersi cura del giardino, vale a dire di rispettare la temporalità propria della natura. Il giardinaggio allora ci colloca precisamente in un più corretto rapporto con il tempo. Fa come la liturgia, insomma, che ci mette a confronto con un altro ritmo, che contribuisce a liberarci dal tempo rapido che ci imprigiona, ci consuma.
La riflessione cristiana sull’ecologia si volge volentieri ai passi della Genesi. Ma questo non va a scapito della figura di Cristo?
Dal XVII al XX secolo, grosso modo, il pensiero è stato dominato dal teismo ereditato dalla filosofia illuministica: aveva una concezione di Dio come principio in senso stretto, quasi impersonale, privo di qualsiasi soggettività, lontano da ogni figura cristica. Uno degli obiettivi del mio lavoro è proprio quello di ritrovare il percorso verso una creazione cristica come la si trova nei padri della chiesa. Ho in testa le miniature medievali che illustrano i sette giorni della creazione in cui si vede chiaramente che è Gesù che presiede all’azione creatrice. La figura del Dio invisibile di cui parla la Lettera ai Colossesi (1,15) è Cristo, «il primogenito di ogni creatura». È attraverso Cristo che i cristiani devono entrare nel mistero della creazione!
Qual è la convinzione che lei trae da queste riflessioni per elaborare e sviluppare una “ecologia cristiana”?
C’è un pericolo in agguato: quello di utilizzare la causa ecologica per accusare le persone di tutti i mali possibili e immaginabili. Cerchiamo di non fare gli “eco-terroristi”, ma di essere piuttosto dei seguaci di Cristo che annunciano la buona notizia. E non dimentichiamo che non siamo noi a salvare la creazione, ma Dio. C’è poi un’altra convinzione ancora che mi viene dall’esperienza diretta: un discorso ecologico non regge ed è inutile se, alla fine, non viene recepito anche dalle persone che hanno concreti interessi in merito allo sfruttamento e alla redditività dei beni del creato, per esempio le foreste e i terreni. Lo sto sperimentando con il collegio forestale e con gli agricoltori con i quali sono in contatto nella gestione della zona circostante il convento di Tourette, dove attualmente vivo.
© 2015 by La Croix (Intervista a cura di Dominique Greiner)
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Teologi@Internet Traduzione dal francese a cura della Redazione
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